Raimo e la pretesa del diritto alla critica illimitata
Ciò che colpisce del caso Raimo è la tendenza a superare, con sorprendente superficialità, il dato giuridico trasformando tutto in confuso dibattito pubblico. Come se quanto accaduto, subito dopo che è accaduto, già non avesse più nessun senso avendo esaurito il suo ruolo di detonatore di un conflitto politico funzionale a portare la discussione molto più lontano da parte di chi la vicenda la sta mediaticamente cavalcando. Ciò è molto grave, perché così facendo si rischia di sdoganare la pericolosa idea che la critica, ovunque essa sia proferita ed a prescindere dal rapporto di lavoro (che pure comporta il rispetto di vincoli ben precisi), possa spingersi in qualunque direzione legittimando l’uso dell’offesa più becera, volgare o rozza, dell’insulto e dell’attacco personale carico di odio in nome di un principio di libertà che tuttavia, così inteso, diventa violenza e superamento della libertà stessa che è bilanciamento di interessi. Un’idea quasi anarchica che non trova spazio nel nostro ordinamento. Ma procediamo con ordine, tentando di mettere le cose al loro posto.
Le parole di Raimo
Il Prof. Christian Raimo è un docente, pubblico dipendente in forza al Ministero dell’Istruzione e del Merito che in ragione di ciò è sottoposto alle norme che disciplinano i rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione. Le quali impongono, tra le altre, il rispetto di puntuali doveri di condotta anche in ambito privato, quindi extra lavorativo, fra cui evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione e non assumere alcun altro comportamento che possa nuocere all’amministrazione in qualsiasi forma, sia diretta che indiretta, anche in termini di immagine. Ciò nonostante, il Prof. Raimo in data 31 agosto 2024 ha pubblicato un primo post sul social network X contro l’istituzione scolastica, rea di averlo sanzionato disciplinarmente con un uso a suo dire «arbitrario» del codice disciplinare, nonché contro il ministro Valditara, portatore di una idea di scuola «lurida e pericolosa». Poi, in data 11 settembre 2024, nel corso di un evento politico di Alleanza Verdi Sinistra cui si è presentato quale “docente” oltre che scrittore, ha pronunciato un discorso che, mediante l’uso di parole efferate, ha espresso un pensiero volto a sollecitare un attacco contro il Ministro nonché la persona Giuseppe Valditara, con l’oramai (ahinoi) celebre richiamo all’abbattimento della Morte Nera del film Star Wars. Non pago, il successivo 12 settembre, sempre sul social network X, il Prof. Raimo ha scritto un altro post ribadendo le sue posizioni e nuovamente invocando l’abbattimento della «Morte Nera» Valditara, questa volta pure definito «debole e incompetente».
Sanzionare o no?
Questi i fatti, e rispetto ad essi l’unico interrogativo che può legittimamente porsi è se un simile comportamento, da parte di un docente pubblico, sia o meno sanzionabile per violazione delle regole che riguardano il rapporto di lavoro. La risposta, a mio avviso, è sì. Prima di tutto perché sono le regole di legge che disciplinano il rapporto di lavoro ad impedire simili condotte anche quando poste in essere al di fuori dello spazio dell’insegnamento, e ciò è un principio assolutamente pacifico che accomuna tanto il pubblico quanto il privato, in cui fatti e comportamenti accaduti “fuori” dal rapporto ben possono incidere sul vincolo contrattuale in ragione del loro modo di manifestarsi (la giurisprudenza offre una ricca casistica, quasi sempre ad oggetto il licenziamento). Di tali regole il docente era perfettamente a conoscenza avendole già violate in precedenza, e ha ritenuto di violare altre tre volte presentandosi pubblicamente come “docente” adottando così un comportamento reiterato e senza dubbio volitivo e coscienzioso.
Oltre la critica: l’aggressione alla reputazione
E tanto ha fatto scegliendo un lessico che i giudici da anni sanzionano nella misura in cui la critica trasmoda nella gratuita e immotivata aggressione alla altrui reputazione, essendo il nostro un sistema che protegge al massimo la libertà di espressione e di pensiero, limitandola allorquando essa si sostanzia in invettiva personale volta ad aggredire personalmente l’altro, con l’uso di espressioni umilianti e gravemente infamanti, poiché ciò che l’ordinamento proprio non tollera è l’idea che si possa “scriminare l’uso di espressioni che si risolvono nella denigrazione della persona in quanto tale”, che è esattamente ciò che ha fatto il Prof. Raimo, per di più incitando all’odio e ad una neppure troppo velata violenza.
A nulla vale qui richiamare l’idea di critica politica ed appellarsi a principi costituzionali per tentare di scavare una distanza tra la condotta extra lavorativa del docente e le azioni da lui poste in essere, perché nel lavoro pubblico è stata dalla giurisprudenza enucleata una “più alta violazione” nelle infelici esternazioni dei dipendenti, che è quella del canone – anch’esso costituzionale – del buon andamento della pubblica amministrazione e dell’espletamento con “disciplina e onore” delle funzioni pubblicistiche, che un docente non abbandona mai.
Non è libertà di critica
Non esiste alcuna possibilità di appellarsi alla libertà di pensiero e di critica, tantomeno politica, nel caso del Prof. Raimo, perché ciò che lo stesso ha fatto si sostanzia nel superamento della continenza verbale dell’esercizio legittimo di tali diritti, con un effetto che insiste anche sul rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione. Ecco perché la sanzione applicata appare motivata e certamente non tacciabile di arbitrio o fuor luogo, poiché integra la legittima azione della pubblica amministrazione datrice di lavoro nei confronti del proprio dipendente che ha deciso di manifestare il suo pensiero utilizzando parole e concetti ben oltre i limiti consentiti dall’ordinamento. In disparte la polemica politica, che per sua natura oramai non si interessa più della verità e rincorre la mediaticità: è un fatto che il Prof. Raimo avrebbe potuto esprimere gli stessi concetti, come è suo diritto fare, utilizzando modi e forme rispettose della legge senza timore di correre alcun rischio sul piano legale e del rapporto di lavoro. Non lo ha fatto e di ciò lui solo ne è il responsabile, con buona pace di coloro i quali invocano a sproposito la censura.
Contributo di Alessandro Paone, avvocato giuslavorista, Founding Partner NIUS Studio Legale e Direttore Scientifico del Centro Studi NODUS