Nino Frassica e i messaggi anonimi alla segreteria telefonica di Renzo Arbore: «Una volta stava per morire»
Nino Frassica si racconta oggi in un’intervista al Corriere della Sera. Ha pubblicato il libro Piero di essere Piero e a Roberta Scorranese oggi racconta il primo incontro con Alberto Sordi: «Feci scena muta. Nella serata dei David di Donatello, io dovevo fare uno sketch. Lo vidi, mi avvicinai, lui mi diede un pizzicotto sulla guancia, poi se ne andò. Non fui in grado di dire una parola». Per timidezza: «Sono siciliano, di Galati Marina, frazione di Messina. Sono uno che non ama chiedere, tanto è vero che quando volevo fare l’attore a tutti i costi sognavo di lavorare con Renzo Arbore ma non mi proposi mai». Anche se alla fine a Quelli della notte ci è arrivato: «Mi feci dare il numero di telefono di Renzo. Ogni giorno gli lasciavo un messaggio anonimo nella segreteria telefonica».
I messaggi anonimi
In quei messaggi «recitavo. Inscenavo piccoli spettacoli solo per lui, senza chiedere nulla e senza dire chi ero. Lo corteggiai così». Riuscì, ma «non prima di averlo quasi ucciso: in seguito mi raccontò che ogni sera correva ad ascoltare i messaggi della segreteria e una volta stava mangiando una mela. Cominciò a ridere in modo così convulso che quasi si strozzò». In quelle palestre di comicità surreale «si improvvisava, ma con intelligenza. Non puoi improvvisare e basta, devi conoscere bene dove sei e quello che stai facendo. Ancora oggi, in Don Matteo, a me capita di improvvisare nei panni del commissario Cecchini, ma guai a farlo senza sapere tutto del contesto». Dice anche che Terence Hill per lui era una sorta di leggenda: «Non pensavo che esistesse davvero. Quando mi chiamò al telefono la prima volta pensai a uno scherzo e non avevo tutti i torti, perché la sua voce prima di allora non l’avevamo mai sentita, era stata sempre doppiata».
Il monaco Terence Hill
Nel libro Frassica scrive che ancora oggi, a 85 anni, Hill «corre 20 chilometri al giorno con un minifrigo da hotel sulla schiena. Ovviamente non è vero, anche se poche persone come lui hanno un’energia di così lunga durata. Merito delle sue abitudini sane e quasi monacali. Pensi che una volta finimmo una stagione e decidemmo di fare una grande festa, una baldoria. Glielo dicemmo e lui rispose: “Benissimo, facciamo intorno alle sette di sera?”». Ma anche con Raoul Bova (l’attuale protagonista, ndr) «si lavora benissimo. Sapesse che risate che ci facciamo. Le confesso un’altra cosa. Quando dobbiamo fare delle interviste, ci mettiamo d’accordo e facciamo in modo di usare sempre una parola decisa dall’inizio. Per esempio una volta scommettemmo che avrei usato il termine Supercalifragilistichespiralidoso. Lui era sicuro che non ce l’avrei fatta, ma io riuscii a infilarla». E in questa intervista quale parola chiave ha scommesso di usare? «Si figuri se glielo dico».