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Le due vite di Cerno, da Repubblica alla corte degli Angelucci: «Sono ancora di sinistra ma Meloni sa di miele, Schlein sottovuoto»

13 Novembre 2024 - 12:45 Alba Romano
La conversazione tra l'attuale direttore del Tempo e il collega Merlo, del Foglio: «De Benedetti diceva che ero un tipo strambo, lo sono ancora»

Tommaso Cerno ha una «storia unica». Prova a raccontarla, sul Foglio, il giornalista Salvatore Merlo, che ha avuto una lunga conversazione con l’attuale direttore del Tempo. E parte da quell’aggettivo, «strambo», che gli affibbiò Carlo De Benedetti dopo averlo nominato direttore dell’Espresso: «Era un complimento, significa che sono un irregolare, che ragiono con la mia testa». L’autonomia di pensiero del 49enne emerge tutta dalla sua parabola eclettica: direttore dell’Espresso, condirettore di Repubblica, senatore del Partito democratico, di Italia Viva e poi passato nel gruppo Misto, oggi alla guida del Tempo. Dai De Benedetti agli Angelucci, «un’evoluzione rara, diciamo. Incredibile forse», afferma Merlo. La risposta di Cerno è sempre pronta: «Se vuoi ci puoi anche aggiungere che sono gay». Allora il giornalista del Foglio lo imbecca sul suo posizionamento politico: «Non eri pure di sinistra?». Cerno: «Credo di esserlo ancora, solo che non riconosco più la sinistra. Credo che la libertà ora stia a destra». Il direttore, tuttavia, sostiene che non ha votato per Meloni e che non voterà per molto tempo: «Non ho nessuna voglia di militare».

Recentemente, Cerno ha avuto un confronto con De Benedetti. L’ingegnere gli ha scritto, in un messaggio, che non lo riconosce più: «Gli ho risposto ringraziandolo, perché quel non riconoscermi significa che sono rimasto quello che ero, ovvero lo strambo di cui parlava lui. Cioè, quello che non vuole ripetere a paperella ciò che si dice nelle chat del Pd». A chi, oggi, lo accusa di cavalcare il vento che soffia a destra per ragioni di carriera, «un arrampicatore, un cinico», Cerno replica definendo «stupida» la visione manichea delle cose: «Quando ero a Repubblica queste stesse persone mi guardavano come se fossi stato un negro, un albanese, un immigrato, un clandestino, un impostore. Ora pensano che io sia un traditore». Ma le cose, dice, stanno diversamente: «Da ragazzo ero cattolico e facevo lo scout, ma fui cacciato dagli scout perché mi infilavo nel sacco a pelo dei capi. Le cose sono che sono sempre stato di sinistra, ma a 18 anni mi iscrissi ad Alleanza nazionale perché volevo far intitolare il teatro di Udine a Pasolini. Solo An ci stava, mentre gli altri, nel centrosinistra, avevano paura di Pasolini omosessuale».

Prosegue: «Le cose sono che sono nato in una famiglia democristiana con un nonno fascista e una nonna partigiana. Le cose sono che sono nato in Friuli, a 11 chilometri dalla cortina di ferro, ed essere fascisti forse era brutto ma essere partigiani a volte significava passare per quelli che avevano sparato agli italiani nelle foibe. Le cose sono che a 18 anni avevo deciso di votare Craxi, ma crollò la Prima Repubblica e mi trovai un imprenditore anomalo, Berlusconi, a capo della destra e un democristiano, Prodi, a capo della sinistra. Roba da capogiro. Forse tutto questo, l’insieme di queste cose, mi ha spinto a essere contraddittorio». Se qualcuno a sinistra, adesso, lo guarda male, Cerno replica in modo schietto: «Sono dei fascisti e dei conformisti. Loro pensano tre quarti delle cose che dico anche io, ma non le possono dire». Ecco, tra i non detti dei suoi detrattori di sinistra ci sarebbero le accuse alla segreteria del Pd, «gommapiuma, un sottovuoto spinto come Schlein, il nulla cosmico».

I paragoni con il passato si sprecano: «Eugenio Scalfari era un intelligentissimo anticonformista, un libertino geniale. Non come questi bacchettoni di oggi. Io a questa sinistra contesto l’assenza di idee e poi contesto la deriva grottesca del giornalismo di sinistra, che vede ovunque camicie nere e olio di ricino, si tratti di Meloni o di Trump. Meloni non la capiscono perché nemmeno la guardano: è patetico. Come potrei mai stare con questi? Il Pd è un ottimo materiale sottovuoto. Privo d’aria, di fantasia, di libertà». Parlando della sua candidatura, Cerno racconta l’aneddoto di quando lasciò di corsa l’ufficio da condirettore a Repubblica per andarsi a candidare al Senato con il Pd di Renzi. In Largo Fochetti, narra la leggenda, c’è ancora il suo impermeabile: «Lo lasciai in ufficio e incontrai Renzi all’hotel Bernini. La scena aveva qualcosa di comico. Io ero senza impermeabile, mentre lui indossava quello stesso chiodo che aveva da Maria De Filippi. Guardavamo l’orizzonte, dalla terrazza dell’albergo, eravamo entrambi depressi: lui capiva che era finita la politica, che quello era pressoché l’ultimo giro, che non sarebbe più stato premier né segretario, e io avevo capito di aver chiuso con Repubblica».

Di Meloni, Cerno dice che «sa di miele». Non la frequenta, se non per lavoro. Ma che significa sapere di miele? «Lo dicono alcuni miei giovani amici gay. Mi sono interrogato su cosa significasse questa espressione. Credo che significhi che lei è lo specchio riflesso delle critiche che le fanno. Respinge l’immagine di “Voldemort” che le vogliono appicciare addosso. Cioè, sa di miele, non è come dicono loro». Cerno chiede a Merlo, quando si parla del suo compagno, di definirlo «marito». Ma, fa notare il giornalista del Foglio, «il matrimonio omosessuale non c’è in Italia». Il direttore del Tempo è pronto anche su questo: «C’è una legge sulle coppie di fatto che è persino migliore del matrimonio. E al matrimonio ci si arriverà. Da destra. La battaglia del matrimonio gay prestissimo diventerà una battaglia di destra, accadrà per effetto della deriva idiota della sinistra. Facci caso: quello che sta avvenendo è che la sinistra non parla più di “coppie”, ma di “uteri” e “inseminazioni”. Presto la sinistra dirà che la famiglia è superata, che persino il divorzio va abolito, visto che la famiglia è quella modello Murgia: aperta, fluida, imprendibile».

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