Matilde Lorenzi si poteva salvare: «Il cordolo di neve dura tolto il giorno dopo»
Matilde Lorenzi si poteva salvare. E sulla sciatrice morta il 29 ottobre dopo una caduta in allenamento sul ghiacciaio della Val Senales in Alto Adige ci sono cose da chiarire. A dirlo è Paolo De Chiesa, ex Valanga Azzurra e commentatore Rai in un’intervista a La Stampa. «Non possiamo stare zitti su questa vicenda», dice a Daniela Cotto e Gianni Giacomino. Che accusa l’allenatore di Lorenzi Angelo Weiss: «Ha visto per filo e segno ma ha preferito lasciare dichiarazioni incomplete. Non si muore per una facciata sulla neve altrimenti i tracciati sarebbero un cimitero. E mi chiedo: perché non è stata fatta l’autopsia? Perché il caso è stato chiuso così in fretta?». Anche se la federazione sport invernali non vuole commentare e il procuratore di Bolzano Axel Bisignano rimanda tutto alla nota stampa.
Il cordolo di neve dura
Paolo De Chiesa dice di non essere «la solita voce fuori dal coro. Ne ho parlato con gli ex azzurri Piero Gros, Alberto Schieppati e con alcuni campionissimi di oggi. Sugli sci abbiamo passato una vita. Lì dove è caduta Matilde non c’era neppure il sistema di protezione. Come è possibile? Il costo del giornaliero sul ghiacciaio è sui 70 euro circa e con queste cifre non hanno protetto la pista neppure con le reti B. Non voglio fare i conti in tasca ai gestori degli impianti ma… Avrebbero almeno potuto vietare ai ragazzi di sciare così vicino a quel bordo per motivi di sicurezza. Lei ha preso velocità per quel cordolo di neve dura sul bordo della pista che è stato tolto il giorno dopo. Deve essere stata una caduta pazzesca». Il gestore degli impianti ha declinato ogni responsabilità, aggiunge. Ma i dubbi rimangono.
I 60 km all’ora e le vie di fuga mancanti
«Con gli sci di oggi si scende a 60 chilometri all’ora e lì non c’erano vie di fuga. Spero che queste mie dichiarazioni aprano gli occhi a chi di dovere. Non c’è neppure un video, anche questo è strano», dice. «Matilde non tornerà più ma noi dobbiamo chiedere tutele soprattutto per i più giovani. Perché le piste in Coppa del mondo sono sicure, i grandi gareggiano con caschi e airbag, ma sono i più ragazzini a non essere tutelati», conclude. Intanto la federazione internazionale ha introdotto l’obbligo di utilizzare l’airbag nelle gare veloci, in discesa e in superG. Con una postilla che lascia margine di manovra agli atleti: «Se qualcuno lo reputa ingombrante non lo indosserà».