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Fatture false per 1,3 miliardi e evasione dell’Iva. Così la rete mafiosa truffava l’Ue da Palermo a Dubai

14 Novembre 2024 - 11:32 Ugo Milano
L'operazione della Procura europea per smantellare il traffico: 47 misure cautelari e 200 indagati: commerciavano prodotti informatici e riciclavano i profitti

Una maxi-evasione fiscale con una frode all’Unione europea da 520 milioni e false fatturazioni per 1,3 miliardi di euro. Dalle prime ore di oggi, 14 novembre, è in corso una vasta operazione della Procura europea coordinata con i magistrati di Palermo e Milano che ha portato finora a 47 misure cautelari e 200 indagati. Le autorità hanno anche disposto perquisizioni in mezza Europa con propaggini fino a Dubai. I soggetti commerciavano prodotti informatici e ne riciclavano i profitti. I reati contestati sono l’associazione a delinquere finalizzata alle frodi fiscali e aggravate dal metodo mafioso. Il sistema utilizzato è il cosiddetto “carosello”.

Gli arresti

Il gip di Milano, su richiesta della Procura Europea (Eppo) ha emesso 34 misure cautelari in carcere, 9 di arresti domiciliari e 4 misure interdittive. Tra le persone fermate ce ne sono anche 7 per le quali è stato emesso mandato di arresto europeo. Il gip ha inoltre disposto il sequestro preventivo, anche per equivalente, per oltre 520 milioni di euro, corrispondenti al valore complessivo della frode, pari all’Iva evasa, e il sequestro preventivo, per riciclaggio, di diversi immobili tra cui alcuni resort del valore complessivo di oltre 10 mln di euro a Cefalù (Pa). Gli immobili sequestrati fanno capo a diverse società e sono collocati in diverse zone della Penisola: Chiavari (Ge), Bellano (Lc), Noli (Sv), Cinisello Balsamo (Mi) e Milano. Il Gip ha riconosciuto per i vertici della banda l’aggravante di aver agevolato mafia e camorra, investendone i profitti nel settore delle frodi all’Iva, e di essersi avvalsi del metodo mafioso per risolvere conflitti nati all’interno dell’associazione tra esponenti delle diverse organizzazioni criminali.

Le indagini

L’inchiesta nasce da due indagini separate: una della Guardia di Finanza di Varese e Milano, l’altra della Squadra Mobile di Palermo coordinata dal Servizio Centrale Operativo. Secondo quanto sostenuto dagli inquirenti, al sistema criminale avrebbero preso parte esponenti della criminalità organizzata gestori di alcune delle filiere di società utilizzate nei circuiti. Tra i coinvolti c’è Tony Lo Manto, vicino ai clan di Brancaccio. I due procedimenti sono stati riuniti e coordinati dai Procuratori Europei delegati di Milano e Palermo che hanno avanzato un’unica richiesta di applicazione di misure cautelari accolta dal gip del Tribunale di Milano.

Coinvolte 400 società, perquisizioni in mezza Europa e Dubai

Sono oltre 160 le perquisizioni in corso in 30 province. I controlli sono svolti anche con le unità cinofile della Finanza specializzate nel ritrovamento di banconote. Gli indagati sono in tutto 200 mentre 400 sono le società coinvolte, 20 estere. I provvedimenti restrittivi sono in corso in Italia, Spagna, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Croazia, Bulgaria, Cipro, Olanda, e in paesi extra Ue, come la Svizzera e gli Emirati Arabi.

Il sistema

Il sistema utilizzato è la cosiddetta frode carosello, ovvero l’evasione fiscale Iva in transazioni transfrontaliere all’interno dell’Unione. Queste frodi sfruttano il regime di non imponibilità ai fini Iva inserendo in un’operazione tra imprese di Paesi diversi un soggetto economico fittizio, la cosiddetta “cartiera” (o società fantasma o missing trader), che acquista la merce dal fornitore comunitario senza l’applicazione dell’Iva per poi rivenderla ad un’impresa nazionale (anch’essa coinvolta nella frode) con l’applicazione dell’Iva ordinaria italiana. Ma la società “cartiera” invece di vendere la merce maggiorata del proprio utile e versare l’Iva incassata dalla sua cessione, la vende sottocosto senza versare all’Erario l’imposta indicata nella relativa fattura. La società viene poi fatta cessare e sostituita da un’altra impresa che ha le stesse caratteristiche: sprovvista di strutture operative e di dipendenti, di norma gestita da prestanome e senza adempiere ad alcun obbligo fiscale, oltre quello di emettere fatture false.

I prodotti a prezzi concorrenziali

La frode consentiva di immettere sul mercato nazionale beni a prezzi molto concorrenziali e prevedeva ulteriori passaggi in cui la merce veniva venduta, sempre sottocosto, a favore di altre imprese italiane inserite nel circuito con l’esclusiva finalità di rendere più difficile l’identificazione dello schema e dei suoi beneficiari finali, rappresentati dalle società broker. L’effetto finale era quello di rivendere la merce sul mercato interno, approfittando del prezzo d’acquisto artificiosamente concorrenziale, oppure rivenderla all’estero. Oggetto della trattativa potevano anche essere le stesse aziende iniziali in modo da far ripartire il carosello. Il danno per l’Unione Europea era costituito dall’Iva indicata nelle fatture emesse dalle “cartiere”, che avevano acquistato la merce senza applicare l’imposta e che la collocavano sul mercato nazionale applicandola invece al compratore, senza però versarla all’Erario, ma ripartendola tra i complici della frode.

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