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Cosa ha detto davvero la Consulta sull’autonomia e perché il referendum ora è a rischio

corte costituzionale autonomia differenziata referendum
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La Corte Costituzionale ha accolto parzialmente i ricorsi. Ma non ha definito la legge come incostituzionale. Secondo gli esperti la riforma andrebbe abbandonata. Ma con le modifiche la consultazione popolare potrebbe diventare inutile

La decisione della Corte Costituzionale sull’autonomia regionale accoglie parzialmente i ricorsi delle Regioni. Ma non ne sancisce l’incostituzionalità. Ora però è a rischio il referendum. Sul quale adesso dovrà decidere la Corte di Cassazione. Perché i punti maggiormente contestati sono proprio quelli su cui la Consulta ha chiesto correzioni al Parlamento. Anche se secondo il costituzionalista Gaetano Azzariti adesso la riforma andrebbe direttamente abbandonata. Perché «ciò che non è stato bocciato sarà inapplicabile». Mentre nel centrodestra Fratelli d’Italia e Forza Italia esultano. Perché la decisione ferma una iniziativa della Lega. E, insieme, non permetterà all’opposizione di ricompattarsi nella campagna referendaria. Mettendo in grossa crisi il governo su un provvedimento impopolare soprattutto al Sud.

Autonomia Differenziata, Regioni e Costituzione

Il comunicato della Corte Costituzionale segnala due problematiche di fondo nella legge scritta dal ministro Roberto Calderoli. La prima è che così congegnate le norme rischiano di aumentare i divari tra le Regioni. La seconda è che nella trattativa tra gli enti e l’esecutivo si rischia di svuotare il Parlamento delle sue funzioni legislative. Per questo mette nel mirino l’idea di trasferire in blocco le competenze. A favore di trasferimenti tecnicamente motivati. E contesta l’impossibilità di modificare i testi alla Camera o al Senato. Oltre ai Livelli Essenziali delle Prestazioni, che rimangono il punto più contestato della nuova legge. Qui la Consulta osserva che la delega conferita al governo è priva di idonei criteri direttivi. Lascia tutto in mano all’esecutivo e limita il ruolo costituzionale del Parlamento. Mentre un atto amministrativo non basterebbe a validare i Lep.

La solidarietà e la sussidiarietà

E ancora. La Corte Costituzionale boccia anche la procedura della Legge di Bilancio 2023 per la definizione dei Lep sulla base della spesa storica degli enti locali. Per i quali non può essere facoltativo il concorso nel conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. Per i vincoli di solidarietà e sussidiarietà della Repubblica. Così come è impossibile definire con un decreto interministeriale le aliquote della compartecipazione delle regioni al gettito dei tributi erariali. Infine, per la Corte l’autonomia differenziata non può essere estesa alle regioni a statuto speciale. Che dispongono già di specifiche normative sulla tematica. Il costituzionalista Stefano Ceccanti dice al Corriere della Sera che non si capisce se la legge sia ancora autoapplicativa oppure paralizzata. E ipotizza che l’esecutivo metta in pausa le trattative con le regioni per capire meglio l’impatto della decisione.

Il costituzionalista: fermate tutto

Il professore di diritto costituzionale de La Sapienza Gaetano Azzariti dice a Repubblica che la Consulta ha fatto «a fettine» la legge. «C’è un passaggio del comunicato della Consulta molto significativo, dice che spetta al Parlamento colmare i vuoti “in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”. Ciò dovrebbe anticipare il fatto che il testo che uscirà dalla sentenza non sarà direttamente applicabile». Secondo Azzariti il provvedimento va letto «per capire la portata di una decisione che ha natura “sistematica”, ovvero riscrive l’intera materia e non si limita a far venir meno alcune isolate norme. A questo punto mi auguro proprio che, fuoriuscendo delle schermaglie tra i partiti, la politica e i partiti si rendano conto che non possono più procedere su questa strada e cambino finalmente direzione».

Una legge fatta a fette

Ma c’è di più. È difficile, pronostica Azzariti, che il Parlamento trovi il modo di superare il profilo di incostituzionalità che riguarda la devoluzione di intere materie come la sanità. «Perché è l’impianto complessivo – la filosofia direi – non solo di questa legge ma dell’autonomia differenziata così come è stata concepita che va rimossa. È la logica dell’appropriazione di intere materie e funzioni a scapito delle altre regioni che deve essere abbandonata, per tornare a pensare a come garantire l’unità della Repubblica e una promozione delle autonomie locali che siano tra loro compatibili. Passare dall’appropriazione di intere materie alla solidarietà tra territori». E quindi, conclude Azzariti, «l’autonomia differenziata così come è stata proposta non si può fare. Se può consolare questo governo non è l’unico responsabile: questa sentenza smentisce l’intero percorso iniziato con il governo Gentiloni, quando furono adottate le prime bozze di intesa».

Il referendum

Ma proprio la sentenza fa tirare un sospiro di sollievo al centrodestra. Il verdetto frena una legge sulla quale l’impopolarità era evidente. E che era voluta da Matteo Salvini ma non da Giorgia Meloni e Antonio Tajani. La campagna referendaria poi si sarebbe concentrata soprattutto al Sud. E sullo slogan della secessione dei ricchi. Tutto questo, è il ragionamento di via della Scrofa, ora non ci sarà più. E questo servirà a garantire durata e compattezza all’esecutivo. Ora Calderoli dovrà iniziare a lavorare a un nuovo testo. Ma succederà mentre il Parlamento dovrà decidere su premierato e riforma della giustizia. Le opposizioni avranno anche il diritto di chiedere nuove audizioni in commissione. Specie con i costituzionalisti. Congelate anche le richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.

Come l’ha presa la Lega

La Lega ha cercato di fare buon viso a cattivo gioco. Definendo «un’ottima notizia» il fatto che la Consulta non abbia già dichiarato la legge incostituzionale. Secondo il Carroccio quelli della Corte sono «rilievi tecnici» che potranno essere «facilmente superati in Parlamento». In realtà tutti i costituzionalisti sono convinti del contrario. Ed è evidente che per la legge il ritorno alla discussione per deputati e senatori diventa un salto nel buio. Ma siamo già a due anni di legislatura e si sta entrando nel terzo. Il tempo stringe.

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