Laura Santi, la sclerosi multipla e il diritto di morire: «L’unico futuro possibile è quello di scegliere»
«Io ho sempre amato moltissimo la vita. In questi anni da disabile l’ho difesa con le unghie e con i denti. Ho fatto un milione di cose. Ho adattato gli sci per sciare, ho nuotato finché le braccia hanno retto, ho lavorato finché le mani hanno potuto pigiare i tasti del computer, ho vissuto tutto ciò che ho potuto». Laura Santi ha ricevuto dall’azienda sanitaria di Perugia il via libera per poter morire. È malata di sclerosi multipla dal 2000: «Ero una ragazza carina, tacco 12, andavo a ballare. Un giorno sento un fastidio all’occhio destro. Vado a farmi vedere e mi dicono che è una infiammazione al nervo ottico, un problema non oculistico, ma neurologico. Fra me e me dico: meglio, così non devo mettere gli occhiali…», racconta oggi al Corriere della Sera.
La malattia
E invece non era una buona notizia. Ma l’esordio tipico di una malattia come la sclerosi multipla. Che «è stata buona con me per molti anni», racconta oggi lei. Poi l’aggressione, sempre più violenta. Laura, 50 anni a gennaio, è la nona persona a ricevere l’ok per accedere alla dolce morte. E la prima in Umbria. È felice di essere libera di scegliere: «È così. Lo so, può sembrare paradossale essere felici di morire. Ma la malattia è diventata progressiva, crudele. Io sono completamente tetraplegica, ho perso le braccia, il tronco, sono in sedia a rotelle da 16 anni, ho incontinenza, spasmi dolorosi. A un certo punto vedi che lei non si ferma, tu peggiori sempre più e ti chiedi: ma io voglio continuare a vivere così? Le assicuro che se lo chiederebbe anche lei. Per me la risposta giusta è: voglio essere libera. Il mio futuro possibile è soltanto uno, quello in cui sono libera di scegliere quando andarmene».
Quando andarsene
Ma non ha ancora deciso quando andarsene: «Non so quando e se sarà. Ho un orizzonte indefinito ma è un orizzonte che governo io. Questo pezzo di carta che mi dice che posso morire quando voglio è la miglior cura palliativa che esista». Accanto a suo marito Stefano. «Sempre. Lui non è mio marito, è il mio tutto, un uomo immenso. E vorrei dire un grazie infinito anche agli altri». Gli altri chi? «L’associazione Coscioni. Io dico che grazie a loro ho conquistato non il diritto di morire, ma la vita».