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Parla una paziente dello studio indagato per la morte di Margaret Spada: «Nessun consenso informato. Al suo posto potevo esserci io»

15 Novembre 2024 - 09:45 Gemma Argento
Morta dopo intervento al naso, sequestrato studio medico
Morta dopo intervento al naso, sequestrato studio medico
Lo scorso gennaio, Martina Veneruso, 26 anni, da Forlì Cesena è scesa a Roma per sottoporsi allo stesso intervento della giovane siciliana morta al sant’Eugenio dopo 3 giorni di coma. A Open racconta l'iter e le preoccupazioni per l'intervento

«Al posto di Margaret potevo esserci io». È scossa Martina Veneruso, 26 anni, dottoressa in Scienze Motorie della provincia di Forlì Cesena che poco meno di un anno fa ha deciso di stendersi sul lettino dello stesso ambulatorio da cui Margaret Spada non si è più svegliata. A Open decide di raccontare la sua esperienza con lo studio medico romano al centro dell’indagine per omicidio colposo che attualmente coinvolge due chirurghi estetici.

Un intervento per rimodellare la punta del naso, il medico di Roma individuato nel mare magnum di Tik Tok, piattaforma social ormai sempre più obiettivo di un marketing sanitario martellante e spesso aggressivo. La storia sembra essere simile a quella della 22enne di Lentini, salita dalla Sicilia a Roma lo scorso 4 novembre per un ritocco al naso e morta al Sant’Eugenio tre giorni dopo, probabilmente per un’anestesia finita male o forse per un’iniezione sbagliata. A breve sarà l’autopsia a parlare.

«Quando ho saputo di Margaret ho avuto subito il timore che potesse proprio essere lo studio con cui avevo avuto a che fare», racconta la 26enne. «Le cose che non mi erano quadrate sono riaffiorate nella mia mente, fino a che ho avuto la certezza si trattasse dello stesso», spiega. «Si sta parlando di una ragazza giovanissima che non c’è più e mi piacerebbe ci fosse più rispetto per la sua memoria e le sue scelte. Molta gente non capisce i veri motivi per cui ci si spinge a modificare qualcosa del proprio corpo e spesso sono molto meno superficiali di quanto si pensi».

La scoperta dello studio su TikTok

È stato un video di Tik Tok ad attirare Martina: «Una ragazza molto seguita sul social parlava non solo dei risultati positivi dell’intervento, ma anche del disagio psicologico che aveva provato fino a quel momento per una parte del suo corpo che non riusciva ad accettare e che aveva condizionato buona parte della sua vita. Ricordo bene quel momento, ascoltandola mi sono ritrovata totalmente in lei, ero io, stava parlando di me». Da qui la giovane si mette alla ricerca dello studio medico in questione. Analizza il profilo social, le pubblicità coinvolgenti del medico, gli spezzoni video degli interventi. Tra pazienti stese su lettino e zoom di siringhe infilate nella pelle, spesso la rassicurazione è quella di operazioni «sicure e non invasive». È fine novembre del 2023 quando Martina decine di contattare su Instagram lo studio medico in questione. A rispondere dall’altra parte qualcuno che nella stessa chat chiede foto della ragazza per analizzarne il caso. «La prima fase si è svolta nei direct di Instagram», ricorda la giovane. «Dopo l’invio ho ricevuto una risposta positiva in chat e in quello stesso momento ho preso appuntamento».

L’intervento

Nel palazzo del quartiere Eur di Roma nemmeno l’ombra di una targhetta di riferimento allo studio medico. «Ai citofoni del portone principale c’era soltanto il cognome del medico, senza un titolo o un accenno all’attività. Mi hanno aperto senza specificare piano e porta, e ricordo che è stata una vera impresa indovinare esattamente quale fosse il posto giusto. Ho fatto il giro del palazzo più e più volte suonando ai campanelli di persone, accorgendomi poi delle richieste affisse fuori le porte, scritte a penna dagli abitanti dell’edificio di non suonare da loro “perché non erano lo studio medico”».

Trovata finalmente la porta giusta, «anche questa segnalata da un semplice cognome come qualsiasi altra abitazione del palazzo», la 26enne entra nello studio per la prima visita con il medico. «Lo stesso che avevo visto sui profili social mi spiega brevemente come sarebbe funzionato l’intervento», racconta, «mi disegna due punti sul naso e mi conduce verso la segretaria per prendere l’appuntamento dell’operazione». Sul momento Martina dovrà rassegnarsi a date disponibili molto in là nel tempo. Poi una chiamata nel pomeriggio della stessa giornata le sconvolge i piani: «Mi dicono che si era liberato un posto di lì a pochi giorni, accetto subito».

Niente consenso informato

Pochi giorni prima dell’intervento, il medico chiede alla paziente le più recenti analisi del sangue che avesse a disposizione. «Dopo aver inviato gli esami su WhatApp, il 3 gennaio dello scorso anno finalmente arriva il giorno dell’intervento che attendevo da anni», ricorda Martina. «Mi hanno portato in questa stanza e fatto stendere sul lettino per l’anestesia. Lì il medico mi spiega che sarebbe stato iniettato un anestetico “simile a quello che utilizzano i dentisti” assieme a una dose di adrenalina “per stringere i vasi sanguigni” e non farmi sanguinare troppo».
La 26enne va avanti con il racconto specificando di essere arrivata a quel punto senza aver dovuto firmare alcun consenso informato. «La domanda sulla necessità di firmare qualsiasi tipo di modulo lì per lì non me la sono fatta. Per ingenuità o impulsività non ci ho pensato. Al mio ritorno in Romagna sono stati i miei genitori a chiedermi i dettagli e lì ho dovuto rispondere che non avevo firmato nulla».
Nessun consenso da firmare, e nemmeno domande da parte del medico su eventuali allergie ad anestetici. «Non ricordo alcuna domanda di questo tipo. Mi ha solo spiegato cosa c’era nella fialetta ed è andato avanti. Pensare che in caso di allergia non avrebbero potuto o saputo salvarmi come forse è successo con Margaret ora mi scuote. Leggere subito i segnali di procedure non chiare è fondamentale».

Le reazioni al farmaco e l’atteggiamento del medico

«Dopo l’anestetico sono cominciati forti tremori che mi hanno fatto ulteriormente agitare. Ho cominciato a piangere nonostante il medico mi avesse avvertita della possibilità di una reazione simile. Con il passare dei minuti è andata lentamente migliorando e a quel punto mi hanno portato in una sala con sei persone, di cui due medici che mi hanno operato, padre e figlio». I due secondo quanto racconta Martina Veneruso la rassicurano sulla presenza dell’anestetico: «Se dovessi sentire qualcosa diccelo e abbiamo pronta altra dose ».

«Una quarantina di minuti e l’intervento è stato fatto. Il tempo di chiedermi il documento per fare fattura e mi hanno salutata con le coordinate dell’Iban», racconta Martina. «Ricordo che mi aveva infastidito la loro insistenza nel ribadire che il pagamento di 4mila euro doveva essere effettuato subito». Un costo maggiore rispetto ai 2.800 euro sborsati da Margaret Spada e di cui sembra attualmente non risultare nemmeno la contabilità, ma sicuramente inferiore ai costi canonici di un intervento di quel tipo.
«Oltre all’insistenza, quello che mi ha stranita ancor di più è stata la loro negligenza quando ho chiesto fattura. Sono passate settimane prima di riceverla e tra l’altro senza alcuna dicitura che segnalasse nello specifico il tipo di intervento effettuato. Solo il riferimento a una “prestazione medica”».

Nei giorni successivi all’operazione la giovane di Forlì Cesena racconta di una presenza telefonica molto costante della segretaria dello studio. «Mi contattava per chiedermi come andasse il dolore o il sanguinamento e quella premura mi aveva fatto sentire più sicura e monitorata. Le ombre che c’erano state durante l’iter in quel momento hanno assunto un peso minore nella mia testa».

La paura e il giudizio degli altri

Ora i conti da fare sono col senno di poi e con la tragica fine di Margaret Spada. «Margaret potevo essere io. Essermi trovata in un luogo che molto probabilmente non ha fatto le cose come doveva mi spaventa. Quello che però chiedo per lei e per tutti quelli che avvertono un disagio è di non puntare il dito con così tanta facilità. In queste ore continuano ad arrivarmi critiche da persone che potrebbero essere i miei genitori, “vi fidate di persone che vi rendono tutte uguali”, mi dicono. Senza capire i disagi più profondi che si nascondono dietro una scelta che può sembrare semplicemente estetica. Erano anni che pensavo al passo che ho deciso di fare. Mi vedevo poco femminile, mi sentivo a disagio in ogni luogo e situazione, non ridevo più in pubblico perché mi vergognavo della forma che assumeva il mio naso. Volevo liberarmi di un limite di cui ero esausta. L’ho fatto con una dose di ingenuità e impulsività su cui è bene stare attenti. Ma il vero dito da puntare è nei confronti di realtà sanitarie pericolose che giocano su insicurezze e difficoltà.

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