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La lezione del commissario mancato Rocco Buttiglione a Fitto: «Io fui bocciato, lui può salvarsi ma stia attento ai suoi» – L’intervista

15 Novembre 2024 - 07:36 Simone Disegni
Fitto Buttiglione Ue Meloni
Fitto Buttiglione Ue Meloni
Vent'anni fa l'allora ministro di Berlusconi fu impallinato dal Parlamento europeo sui valori cristiani. Oggi spiega a Open come andò, e cosa succederà ora a Bruxelles

Un vecchio lupo democristiano spedito da Roma a Bruxelles per farsi largo come nuovo commissario Ue. L’antipatia di mezza Europa per la destra populista alla guida dell’Italia. Gli equilibrismi del candidato per rabbonire il Parlamento europeo. Storia di questi giorni, col destino appeso a un filo di Raffaele Fitto? Sì, ma anche di 20 anni fa esatti. E quella volta finì male. Era l’ottobre del 2004 e per la squadra di José Manuel Barroso l’allora governo di Silvio Berlusconi propose il nome di Rocco Buttiglione. Sfida non da poco: raccogliere il testimone di Romano Prodi, l’italiano che nei cinque anni precedenti la Commissione l’aveva guidata da presidente. Buttiglione portò in Europa la sua figura di politico/filosofo orgogliosamente legato alle radici cristiane, a partire dalla difesa della famiglia tradizionale. L’omosessualità? «Penso sia un peccato, anche se non un crimine». Il matrimonio? «Viene dal latino matrimonium, che significa “protezione della madre”: la famiglia esiste per consentire alla donna di avere figli e di avere la protezione di un uomo che si prenda cura di loro», scandì il ministro ex Dc in audizione. Il Parlamento europeo si rifiutò di approvare la sua nomina a Commissario e Berlusconi alla fine fu costretto a ritirare il suo nome. Vent’anni dopo Buttiglione è uscito dal giro della politica, fa il professore, il consulente politico e pure quello di cuore sui social. Ma qualche consiglio a Fitto non rinuncia a darlo. Anche perché, dice serafico a Open, il governo Meloni sta andando «meno peggio del temuto» e se la sinistra europea davvero lo bocciasse s’aprirebbe una crisi dagli sbocchi inquietanti.

Ma quindi, onorevole, Fitto rischia davvero?

«Mah, io penso che alla fine ce la farà. Forse non se ne rendono conto, ma stanno giocando col fuoco. Se salta Fitto salta tutta la Commissione: sai che schiaffo».

Meloni s’è mossa sul filo di lana tra il dentro e fuori la nuova maggioranza Ue. Pensa abbia commesso errori?

«Ha sbagliato a non votare Ursula alla prima battuta. Adesso sta cercando di rimediare. E il paradosso è che è lo schieramento Socialisti-Verdi che le sta offrendo una grande occasione per rientrare in partita».

Cioè?

«Se stavano zitti e buoni, Fitto passava e basta. Dicendogli no per rafforzarsi rischiano di rendere evidente che c’è una nuova maggioranza. La vera domanda però è se Meloni riesce a tirarsi dietro altri voti del suo gruppo. Se alla fine tutto va liscio, FdI vota compatta la nuova Commissione. Ma Meloni porterà lì anche altri di Ecr?»

Se così fosse sarebbe l’atto di nascita di una nuova maggioranza a trazione destra in Ue.

«Ma qualcosa dovrà cambiare per forza. Quello portato avanti sin qui dalla maggioranza Ursula è un programma che funzionava nel mondo di ieri, non in quello di oggi. La globalizzazione non funziona più, Trump ha rivinto negli Usa e dobbiamo renderci indipendenti dalla Cina su materie prime e nuove tecnologie, ma il settore auto è sull’orlo del collasso e Volkswagen licenzia. Stiamo entrando in una fase nuova, e anche Socialisti e Verdi farebbero bene a capirlo, prima che sia troppo tardi».

Vent’anni fa lei fu bocciato dal Parlamento europeo come candidato Commissario. Trauma superato?

«Fu un colpo di fortuna: avevo posto la mia candidatura dentro a un progetto di Europa politica, legato al disegno di una Costituzione europea con chiare radici cristiane. La Costituzione fu poi bocciata (nella primavera 2005 tramite referendum in Francia e Paesi Bassi, ndr) e sostituita dal Trattato di Lisbona, che sancì un’Ue della burocrazia piuttosto che della politica. Sarei rimasto prigioniero di qualcosa che non mi apparteneva. Cos’avrei fatto?».

Nessun rimpianto, quindi.

«No, anche perché ricevetti un sostegno commovente: dai miei elettori, in primis».

Anche da Berlusconi?

«Mah, mica tanto. Lui non era convintissimo della mia candidatura». 

Dunque ora a Fitto cosa suggerisce per passare le forche caudine del Parlamento europeo?

«Di assicurarsi del sostegno del governo italiano e dei suoi alleati. E che questi facciano campagna per lui in Parlamento europeo».

Ha ragione Meloni a dire che dovrebbero votare per lui tutti i gruppi politici italiani, Pd compreso?

«Un Commissario deve curare gli interessi dell’Ue, non del suo Paese. Ma è vero che al di là della questione del prestigio quella è una posizione fondamentale anche per facilitare i rapporti Italia-Ue». 

Da quando nel 2018 lei ha abbandonato la politica il centrodestra ha cambiato volto. Il suo giudizio sul governo Meloni?

«Temevo peggio. Oggi mi diletto a rispondere alle domande degli utenti sulla piattaforma Quora, e replico pure alle due obiezioni principali che la gente muove su questo governo».

Sarebbero?

«La prima: “Non hanno fatto niente”. Sa cosa rispondo io? Che è vero, non hanno fatto niente ed è un bene. Perché il primo obiettivo di un governo è non fare danni. Soldi da spendere non ce ne sono, e fa bene Giorgetti a dire tanti no: la priorità ora è rimettere a posto le finanze del Paese».

La seconda obiezione?

«”Non hanno fatto quel che avevano promesso”. E anche qui idem, rispondo uguale: meglio così. Meglio che non abbiano poi fatto le cose sbagliate che hanno promesso in campagna elettorale. Sono saliti al potere con un’ondata populista dalle venature fasciste. Di cose fasciste non ne hanno fatte, di populiste qualcuna, ma il minimo indispensabile».

Ma un attento custode dei valori cristiani come lei non è lieto delle battaglie identitarie della Meloni, tipo la demonizzazione della gestazione per altri come reato universale?

«Apprezzo molto la buona volontà del governo su queste cose, l’insistenza sui valori è giustissima, ma bisogna farli prevalere tramite il metodo della libertà. Lo strumento legislativo va usato con grande prudenza, specie quello della legge penale: dovrebbe essere l’ultima trincea. Va creata su questi temi invece un’unanimità morale nel Paese. Ma certo non è facile in un’Italia in cui non esiste un dialogo serio sui valori».

Lei ci lavora ancora?

«Oggi faccio il professore, ma per lo più fuori dall’Italia. Sono presidente dell’Academia latinoamericana de lìderes catòlicos, il principale centro di ricerca e insegnamento di valori cattolici in America Latina, ora attiva anche negli Stati Uniti e in Europa».

Questo Papa le piace?

«Sono un grande amico di Jorge Mario Bergoglio dal 1980, e quest’Accademia lavora a sostegno e in assonanza della sua missione. Ha fatto un percorso e dato lezioni utilissime per il mondo di oggi. Bergoglio che è cresciuto nell’Argentina peronista diceva che i populisti devono diventare popolari».

Vale come raccomandazione per Giorgia Meloni?

«Mi auguro che riesca a incanalare il populismo che l’ha portata al potere formando una classe dirigente in grado di capire e navigare la complessità, anziché vendere al popolo soluzioni immaginarie. Il bivio oggi è tra dire alla gente quel che vuole sentirsi dire, o cambiare davvero la realtà».

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