Alessandro Giuli e il “terribilismo” di Vannacci: «Un infantilismo declamatorio tipico di una certa destra»
Alessandro Giuli si definisce «un liberalsocialista di destra». E qualunque cosa questo voglia dire, nel colloquio con Alberto Mattioli per La Stampa che diventa la sua prima intervista a un giornale italiano da quando è ministro della Cultura comincia il discorso in giuliese stretto. Stavolta parlando di Roberto Vannacci. Le cui istanze, spiega, «non sono tutte da respingere. Da rifiutare è il suo terribilismo, reincarnazione di un infantilismo declamatorio che era tipico di una certa destra. Bisogna quindi mettere ordine intellettuale dove il pensiero si fa viscerale. E qui serve Gentile: non quello dello Stato etico, ma quello che rivendica la tradizione rinascimentale e risorgimentale italiana».
Adriano Olivetti e il socialismo riformista
Giuli spiega che vuole rianimare la filiera dell’editoria partendo dalla lettura: «In Italia ci sono più libri pubblicati che lettori. Arriverà un finanziamento di 30 milioni per le biblioteche, che spesso sono in periferia, nei borghi, anche in luoghi problematici del Sud. Così si accorcia la distanza fra centro e periferia, fra Ztl e borgate: la lettura come alternativa allo spaccio o all’immersione solitaria nei social. Come Meloni ha un Piano Mattei per l’Africa, io voglio un Piano Olivetti per la cultura». E aggiunge che si tratta di «temi di socialismo riformista abbandonati dalla sinistra. Ma tuttora validi». Infine: «Io ho giurato sulla Costituzione: l’articolo 9 è fra i meno applicati. Da ministro, devo dare ai beni culturali italiani una cornice protettiva, d’accordo, ma anche farli diventare strutture dinamiche. Mappare i rischi e sviluppare le potenzialità. Non si tratta di aprire i depositi dei musei, ma far sì che i musei raccontino il loro contesto, la loro storia, le loro radici. Sono l’autobiografia della comunità nazionale».
Francesco Spano
Su Francesco Spano, capo di gabinetto nominato e dimissionato, dice che «la sua scelta ha provocato una crisi di rigetto da parte di una minoranza un po’ fanatizzata dell’elettorato di destra, non da parte di Fratelli d’Italia. Spano si è dimesso perché non reggeva la pressione dei soliti persecutori mediatici. Io le dimissioni le avevo rifiutate, ma alla fine ho dovuto accettarle». Smentisce di aver offerto lui le dimissioni e dice che in Rai «non c’è abbastanza chiarezza politica. Quando ha cominciato a inseguire solo lo share, ha perso di vista la divulgazione culturale, dunque la sua vocazione di servizio pubblico. Augias, in fin dei conti, è diventato Augias appunto alla Rai. La televisione pubblica deve tornare ai fondamentali».
I tatuaggi
Infine parla dei suoi tatuaggi. La sua aquila, dice, non è fascista: «È romana. Un’aquila predata dai parti, credo alla battaglia di Carre. E restituita a Roma non dopo una campagna militare, ma grazie alla diplomazia di Nerone. Quindi un simbolo non solo non fascista, ma anche pacifista». Dal polsino sinistro della sua camicia spunta un altro tatuaggio: «È il cosiddetto “scettro di Spoleto”, un simbolo osco-umbro. Sono sempre stato affascinato dall’antichità». E sull’accusa principale: «Io non sono mai stato fascista perché il fascismo è finito da ottant’anni. Da 14 anni a 18 ho militato nel Fronte della gioventù, cioè i giovani del Msi, e poi negli extraparlamentari di Meridiano zero, che peraltro era una citazione di Ernst Jünger. Siamo tutti avanzi di qualcosa».