Dardust: «Il mercato? Non mi interessa, altrimenti avrei fatto un disco di feat» – L’intervista
«L’intento era di cercare la bellezza dove apparentemente non c’è», in un panorama culturale musicale perennemente condizionato dal mercato, l’uscita di un disco come Urban Impressionism, firmato da Dardust, è una notizia. Non solo perché parliamo di un musicista che di mercato ne sa qualcosa avendo contribuito a comporre o produrre una gigantesca quantità di hit (giusto per ricordarne qualcuna: La coda del diavolo di Rkomi ed Elodie, Soldi di Mahmood, Cenere di Lazza, La noia di Angelina Mango, Voce di Madame). Ma Dario Faini, classe 1976, da quell’universo così ricco e sbrilluccicante ha deciso di fare un passo indietro: «Altrimenti avrei fatto un disco da producer con tanti feat – rivela infatti a Open -. Non mi interessa se c’è mercato o no per questo genere di musica, il mercato lo apri tu facendo una cosa che è assolutamente onesta».
Un moderno concetto di bellezza
Dardust nel disco, con il suo straordinario talento da pianista, riesce a fornire una narrazione talmente chiara da risultare quasi esplicita, senza l’utilizzo di alcuna parola, solo sfiorando i tasti del proprio pianoforte e portando quelle note, sempre leggere, eteree, nelle periferie più estreme, lì dove lo scintillio della metropoli lascia il posto all’essenza delle cose, della realtà, del mondo, che sembra in quei luoghi denudarsi completamente, così come, racconta, ha fatto lo stesso Dardust per comporre l’album. «Le periferie – racconta – non sono altro che simboli delle nostre aree abbandonate, un po’ oscure, emotive, che stanno lì in disparte. Errori, sbagli ferite, che magari non ci piacciono e teniamo lì, nella nostra periferia mentale ed emotiva. Invece vanno percorse, indagate, colorate».