Sciopero medici e infermieri 20 novembre 2024, chi aderisce e quali servizi sono garantiti. A rischio 1,2 milioni di visite
La giornata di domani, mercoledì 20 novembre, si preavvisa particolarmente delicata per il sistema sanitario nazionale. È previsto uno sciopero di 24 ore per medici e infermieri, che avrà ripercussioni – l’entità non è ancora nota – sull’erogazione dei servizi e delle prestazioni. La protesta, indetta dai sindacati Anaao-Assomed, Cimo-Fesmed e Nursig Up, mira a mettere nuovamente a fuoco una situazione all’orlo del collasso. E che, come riporta l’edizione odierna del Sole 24 Ore citando il report Ocse Health at glance Europe, nei prossimi altri non farà altro che peggiorare. Mancanza di personale e di finanziamenti, il “tradimento” delle promesse con la nuova Legge di Bilancio, il continuo esodo di professionisti al di là delle Alpi: questi solo alcuni temi su cui gli operatori sanitari esprimono particolare preoccupazione. L’appuntamento è per piazza Santi Apostoli a Roma, dove sono attese oltre 2mila persone.
Chi aderisce, le visite a rischio e quali servizi sono garantiti
Secondo le stime di Anaao-Assomed, circa 50mila tra medici e infermieri (su una platea di 119mila) non è precettato e potrà dunque prendere parte allo sciopero. «Circa 30mila medici non potrà incrociare le braccia anche se volesse», ha spiegato ad AdnKronos il segretario nazionale del sindacato, Pierino Di Silverio. In ogni caso l’adesione si prevede massiccia, sintomo di una diffusa preoccupazione per lo stato del sistema sanitario. Sarebbero a rischio circa 1,2 milioni di prestazioni sanitarie tra visite di ambulatorio , servizi di assistenza, esami radiografici, interventi chirurgici programmati (erano 15mila per domani) e visite specialistiche. Saranno invece garantiti i servizi essenziali e di emergenza. Rimarranno dunque attivi e operativi il pronto soccorso, la terapia intensiva, il 118 e gli interventi di chirurgia d’urgenza.
Perché si sciopera: Legge di Bilancio e non solo
Alla base dello sciopero di 24 ore c’è, ovviamente, la legge di bilancio, argomento di dibattito e scontro tra sanitari e governo nelle ultime settimane. Dai minimi aumenti in busta paga allo stop al piano da 30mila assunzioni, fino alla mancata defiscalizzazione dell’indennità di specificità. «È inevitabile dover alzare la voce e pretendere di essere ascoltati», si legge in una nota congiunta dei sindacati. «Senza di noi è la salute dei cittadini a essere a rischio». Anche per questo, hanno sottolineato, bisogna «ridare dignità e valore al nostro lavoro». In questo senso particolarmente allarmante è il tema della fuga all’estero: «Si è costretti ad andare in capo al mondo per cercare colleghi disposti a prendere il loro posto nei nostri ospedali. Non sono più disposti ad accettare di lavorare in queste condizioni».
La carenza di personale medico, secondo medici e infermieri, si riflette sul morale del personale oltre che sulla qualità dei servizi: i turni sono massacranti, le dimissioni aumentano. A questo si aggiunge una disorganizzazione a livello ospedaliero (pochi posti letto, attrezzature obsolete) e territoriale (medici di base oberati di richieste, di fronte a una mancanza quasi totale di presidi intermedi). Che porta a un ulteriore sovraffollamento delle strutture: anche per i servizi più basici, le persone tendono ad andare in pronto soccorso.
Un po’ di numeri: il problema anagrafico e la fuga all’estero
La grave situazione è confermata dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), in particolar modo dai numeri presentati nel report biennale Healt at glance Europe. In tutta l’Unione europea si registra una mancanza di 1,2 milioni di operatori sanitari. L’Italia, tra i 27 Stati membri, è tra quelli più in difficoltà. In primo luogo per un doppio tema anagrafico: mentre la popolazione invecchia, invecchiano anche i medici. Tradotto: sempre più persone (nel 2050 un terzo degli italiani sarà over-65) richiederanno accesso ai servizi, che sempre meno persone garantiranno. Al momento il 54% del personale medico ha oltre 55 anni, il 27% oltre 65. E secondo l’Ocse «l’ondata di pensionamenti raggiungerà il picco nel 2025», lasciando di fatto il sistema sanitario in una vera e propria crisi numerica.
Crisi che viene avvertita, e forte, anche per quanto riguarda gli infermieri. In Italia le medie sono ben al di sotto di quelle europee: 6,5 per mille abitanti contro gli 8,4 dell’Ue. Di fronte a questa carenza, però, l’università non ha risposto: dal 2012 a oggi i posti disponibili sono aumentati del 25%, gli iscritti diminuiti del 50%. Una delle cause individuate risiede negli stipendi bassi: nel nostro Paese gli infermieri sono i secondi più “poveri” di Europa, solo dopo la Grecia.
L’Italia investe poco in sanità
Poi c’è il tema investimenti. Nonostante i proclami politici, l’Italia rimane tra gli Stati che meno investono nel settore sanitario in termini di percentuale sul Pil. Se la spesa per Roma è intorno all’8,4% del prodotto interno lordo, Paesi come Germania e Francia spendono rispettivamente 11,8% e 11,6%. Il ritardo italiano si vede anche nella spesa pro capite. Nel 2022 per l’assistenza sanitaria di ogni italiano sono stati spesi 2.947 euro (corretti per il potere d’acquisto): 586 euro in meno della media europea e quasi la metà rispetto alla spesa di Berlino (5.317 euro ogni tedesco).
Roma ha preso delle contromisure. Nel Report vengono sottolineate la sospensione dell’età pensionabile obbligatoria di 70 anni per i medici del Ssn, l’aumento di oltre il 10% del numero annuale di studenti ammessi alle facoltà di medicina e il raddoppio del numero di posti di specializzazione con il sostegno del Pnrr. Oltre che i progetti, come quello presentato dal ministro della Salute Orazio Schillaci, di assumere 10mila infermieri dall’India. Gli effetti, ha sottolineato Ocse, si sentiranno «non prima della fine del decennio». Per ora la sicurezza è che i prossimi anni saranno complicati.