Tony Effe e la maledizione della bellezza: «Da ragazzetto mi imbruttivo, poi ho capito che faceva parte di me»
«Metto in conto che una persona che mi conosce da ieri, che sente solo una mia canzone o vede sui social una cosa che ho detto o fatto sei anni fa, si faccia un’idea un po’ superficiale e magari esprima un giudizio di conseguenza. Ci sta, lo capisco e lo accetto, ma io credo che se davvero scopri qualcuno, e magari ne diventi fan o anche solo ti incuriosisce, la cosa migliore da fare è approfondire, conoscere, capire. I giudizi istantanei dati fuori contesto valgono quel che valgono. Li capisco ma gli do poco peso onestamente. Non si giudica nessuno da un video sul feed di TikTok», oltre Sesso e Samba insomma, c’è di più. Parola di Tony Effe, l’ex Dark Polo Gang, ma giusto per dare un riferimento, il trio trap non si è mai ufficialmente sciolto, anzi, se ci sarà l’occasione giusta tornerà a produrre musica, si confessa a GQ a 360 gradi. Parla di tutto l’autore di Icon, uno dei dischi più streammati del 2024, già tre volte disco di platino, dal passato («Fondamentalmente non rinnego niente») al futuro («Ho comunque una responsabilità molto più grande di quella che avevo prima»), dal suo rapporto con la notorietà («sicuramente io sono uno molto del popolo. Quanti Tony ci sono a Napoli, a Roma, a Milano? Credo di avere un certo tipo di carisma che mi rende un personaggio molto italiano») al rapporto che ultimamente sta facendo più discutere: quello con la bellezza. Dice infatti Tony Effe, ovvero Nicolò Rapisarda, 33 anni da Roma: «Sin da bambino sono sempre stato abituato a essere il bello del gruppo. A scuola ero sempre tipo “lui è quello che fa i film, che bello che è, no?” e questa cosa mi dava fastidio. Era l’unica cosa che mi dicevano. Da ragazzetto adolescente io mi imbruttivo, mi facevo i capelli con la lametta, le sopracciglia, cose così. Poi ho capito che era una cosa che faceva parte di me e allora ho iniziato a giocarci: con le persone quando mi chiedono le foto, sui social, in pubblico. Ho sempre detto che sono il più bello di Italia – continua – capito, è diventata una mia cifra. È tipico dei rapper dire “io sono il più forte, io sono il più bravo” e allora io ho iniziato a dire “io sono il più bello”». Una tattica di comunicazione che ha portato i suoi frutti, infatti, come spiega: «Questi risultati non me li aspettavo neanche io, sono sincero. E poi forse l’ascoltatore medio che non mi conosce è un po’ passato da “Tony Effe è un deficiente” a “Tony Effe è un deficiente, però sto ascoltando le sue canzoni”».
Il personaggio Tony Effe
In cima agli ascolti, su tutte le copertine, nuovo sex symbol, Tony Effe con il suo personaggio è riuscito a sdoganare la trap nel circuito mainstream. «Prima di Icon – racconta – tutti conoscevano il mio lato più scherzoso, più estremo, più trap. Con questo album sento di aver tirato fuori altre sfaccettature di me stesso, la mia parte più sensibile. Poi certo, su Instagram il mio personaggio è da sempre comunque uno che ostenta. Però, per me, ha sempre voluto dire in fondo che se ce l’ho fatta io, potevano farcela tutti». Un messaggio che alle volte si perde tra le maglie di una musica che ostenta molti limiti, che indispettisce gli amanti della classica melodia pop, del rock suonato, degli intellettuali del jazz e della classica, ma anche di molti rapper che provano a far capire al largo pubblico che esiste anche un altro genere di nuovi artisti, che il rap non è per forza sinonimo di brutto, sporco e cattivo. Una battaglia che Tony Effe conosce bene infatti dice: «Io ho sempre voluto parlare ai ragazzi come me, e infatti in molti mi hanno capito. Poi, certo, quel tipo di atteggiamento scatena anche tanto odio. Fare musica è un po’ come fare cinema: se fai un film di un certo tipo devi scrivere una scena splatter, per dire. Io, fortunatamente, mi sento un regista che sa fare tanti tipi di film. Prima facevo solo lo splatter, l’horror, il thriller».