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Cop29, la prima bozza dell’accordo sulla finanza climatica: le posizioni su cifre e criteri restano lontane

21 Novembre 2024 - 09:15 Gianluca Brambilla
cop29 baku bozza accordo finale
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Il documento pubblicato dagli organizzatori ha una "X" al posto della cifra e prevede due opzioni su come gestire i flussi di denaro verso i paesi più vulnerabili

Alla Cop29 di Baku, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che quest’anno si svolge in Azerbaigian, è il momento delle bozze. Nelle scorse ore, l’Unfccc – l’agenzia dell’Onu che organizza il vertice – ha pubblicato una prima versione provvisoria dell’accordo a cui stanno lavorando i negoziatori dei 197 paesi partecipanti. A dominare le discussioni quest’anno è il nuovo obiettivo di finanza per il clima. In inglese: New Collective Quantified Goal (Ncqg). Per dirla in altre parole, occorre mettersi d’accordo su quanto e come le economie sviluppate dovrebbero sostenere i paesi in via di sviluppo per adattarsi ai cambiamenti climatici e ridurre le emissioni.

Dieci domande e risposte per capire Cop29

«Trilioni» di dollari per i Paesi vulnerabili

La prima questione da dirimere riguarda la cifra da stanziare per i paesi più vulnerabili. Nella prima bozza di documento finale della Cop29 di Baku non c’è ancora un numero preciso, ma l’ordine di grandezza sì. L’accordo, ancora provvisorio, parla infatti di «trilioni», ossia migliaia di miliardi di dollari, che i paesi più ricchi dovrebbero destinare ai Paesi più in difficoltà. Si tratta di un aumento considerevole rispetto a quanto deciso alla Cop15 di Copenhagen, che fissò l’obiettivo – in gran parte disatteso – di arrivare a 100 miliardi di dollari all’anno di aiuti fino al 2025.

Le due strade per la finanza climatica

Se sulla cifra da destinare alla finanza climatica le posizioni appaiono ancora distanti, lo stesso vale anche per i criteri che dovranno gestire questi flussi di denaro. La bozza di accordo finale pubblicata dall’Unfccc include infatti due opzioni. Una che rispecchia la posizione dei paesi in via di sviluppo e una che rispecchia quella dei paesi sviluppati. Un segnale piuttosto chiaro del fatto che ancora non è stata trovata una sintesi in grado di mettere tutti d’accordo. La differenza più sostanziale tra le due opzioni riguarda la composizione del fondo: da una parte chi spinge per avere più contributi pubblici a fondo perduto. Dall’altra chi chiede di prevedere anche prestiti e altre forme di finanziamento.

Opzione 1

L’opzione 1 delineata nella bozza di accordo della Cop29 è ispirata alla posizione dei paesi in via di sviluppo, una categoria in cui rientra anche la Cina. La loro richiesta è chiara. Il nuovo fondo di aiuti ai paesi vulnerabili deve essere composto da «contributi pubblici a fondo perduto o equivalenti» (in inglese, «grants»), che non creino ulteriore debito. Il testo prevede che il fondo duri dal 2025 al 2035 e che fornisca ogni anno una cifra ancora da stabilire ma comunque nell’ordine dei trilioni di dollari.

Opzione 2

L’Opzione 2 è ispirata alla posizione dei paesi più ricchi, quelli chiamati ad aprire il portafoglio per aiutare chi è in difficoltà. Anche in questo caso si parla di aumentare l’obiettivo per arrivare a un fondo da trilioni di dollari, ma si prevede che questo aumento comprenda «tutte le fonti di finanziamento, comprese risorse domestiche». Il testo non chiede esplicitamente che anche i paesi emergenti come la Cina diventino donatori. Ma scrive genericamente che «l’investimento in crescita a questo livello richiederà l’ambizione, la partnership e la cooperazione fra tutti gli attori del panorama finanziario e politico».

La polemica sulla leadership debole dell’Ue

A fare da mediatore tra il blocco dei paesi più ricchi e quelli più vulnerabili dovrebbe essere l’Unione europea, che più di ogni altro sta cercando di imporsi come leader mondiale della diplomazia climatica. Soprattutto all’indomani della rielezione di Donald Trump, che porterà con ogni probabilità a un disimpegno degli Stati Uniti dalla lotta contro la crisi climatica. Eppure, la posizione dell’Ue alla Cop29 è stata oggetto di molte critiche. Il sito statunitense Politico ha fatto sapere che il Vecchio Continente starebbe puntando a una cifra fra i 200 e i 300 miliardi di dollari all’anno per i paesi in via di sviluppo. Una cifra ben lontana dai 1.300 miliardi chiesti dalla controparte.

«Non vogliamo arretrare rispetto agli impegni presi alla COP28 a Dubai e vogliamo continuare a condurre con l’esempio, ma non possiamo pensare ora alla cifra da mettere sul piatto, dobbiamo prima capire cosa ci sarebbe dentro quella cifra», ha detto Wopke Hoekstra, commissario europeo al Clima e capo negoziatore Ue. La reazione dei paesi in via di sviluppo non si è fatta attendere. «Deve essere uno scherzo», hanno detto in conferenza stampa i capi negoziatori di Bolivia e Uganda, che rappresentano il G77, gruppo dei paesi in via di sviluppo.

Foto di copertina: EPA/Anatoly Maltsev

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