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Maria Teresa Avallone, morta dopo una reazione avversa all’anestesia: chirurgo condannato

21 Novembre 2024 - 09:30 Alba Romano
maria teresa avallone
maria teresa avallone
Maurizio Cananzi ha ricevuto una condanna a un anno e 4 mesi di reclusione con la concessione delle attenuanti generiche e la pena sospesa

Maria Teresa Avallone, 39 anni, è morta tre giorni dopo un intervento di chirurgia estetica. Voleva un rialzo dei glutei con l’inserimento di fili sottocutanei. Dopo l’anestesia ha accusato un grave malore per una reazione avversa in un ambulatorio di Seregno (Monza e Brianza). Un intervento di rianimazione adeguato avrebbe salvato la vita della donna. Per questo il chirurgo Maurizio Cananzi ha ricevuto una condanna a un anno e 4 mesi di reclusione con la concessione delle attenuanti generiche e la pena sospesa.

La reazione avversa dopo l’anestesia

La donna ha accusato il malore dopo la somministrazione dell’anestesia il 5 marzo 2019. Una crisi epilettica e il cuore fermo per mezz’ora. È morta l’8 marzo all’ospedale San Gerardo, dove era stata portata in condizioni disperate dopo la chiamata al 118 da parte del chirurgo stesso. Contro la sentenza il professionista ha presentato appello sostenendo la correttezza del proprio operato durante le manovre di primo soccorso. E imputando al limite negligenze al personale paramedico. Gli esperti del Tribunale, invece, avevano criticato l’intervento di primo soccorso durante un’emergenza che Cananzi si era trovato ad affrontare senza aiuti. Una scelta, quella di operare da solo, scrive il giudice , che ha «comportato necessariamente un’interruzione del massaggio cardiaco, per chiamare il 118, che avrebbe dovuto essere in tutti i modi evitata»

Il mancato uso del defibrillatore

Decisivi, poi, sono considerati il mancato uso del defibrillatore, oltre al ritardo nella chiamata dei soccorsi. E la «mancata ossigenazione della paziente mediante l’uso dell’«ambu» (il dispositivo manuale a palloncino che supporta la respirazione nei pazienti con ventilazione polmonare insufficiente) che era risultato scollegato dalla bombola d’ossigeno. Appare evidente, spiega il giudice nelle motivazioni della sentenza, «la gravità della colpa del medico, lo scarto marcato, nettissimo e inescusabile delle sue condotte dalle regole, per certi versi le più elementari, della scienza medica».

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