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L’indagato per spionaggio a favore dei russi: «Li ho adescati io per poterli infiltrare»

milano manager indagato spia servizi segreti russia
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Pericle Santoro dice di aver fatto tutto per ottenere informazioni sulla guerra in Ucraina. «Volevo far sapere a queste persone che in Italia non c’era voglia di far guerra a loro»

Si chiama Pericle Santoro, è un immobiliarista monzese di 34 anni e deve fronteggiare l’accusa di spionaggio a favore della Russia. È infatti uno dei due imprenditori accusati a Milano di aver violato l’articolo 246 del Codice Penale. Ovvero corruzione del cittadino italiano da parte di uno straniero. Aggravato dall’articolo 270 bis, ovvero le finalità di terrorismo eversivo. I servizi segreti russi, secondo l’indagine, gli hanno affidato il compito di catturare immagini di strade e piazze nelle città, mappare zone grigie di caserme e siti militari. A Milano e a Roma. Ma anche ad Aviano. E anche di fotografare persone di loro interesse. Ma lui dice di non aver mai collaborato con i russi. Anzi. Sostiene di averli adescati con false promesse per ottenere informazioni sulla guerra in Ucraina.

La strana storia di Pericle Santoro

Pericle Santoro racconta oggi la sua strana storia al Fatto Quotidiano. Nell’intervista con Gianni Rosini ammette di aver contattato lui l’Fsb con «mail in italiano, inglese e russo a tutti gli indirizzi che ho trovato online. Ero veramente spinto da un sentimento di timore, di paura: volevo far sapere a queste persone che in Italia non c’era voglia di far guerra a loro». E sostiene: «Non c’è mai stata l’intenzione di collaborare o di lavorare con loro, l’unico intento era riuscire a parlarci: li ho adescati, altrimenti non mi avrebbero preso in considerazione. Hanno chiesto che facessi cose che non ho mai fatto».

Anche se in realtà ha scattato fotografie a una persona indicatagli proprio dai russi, tale R.B. Ma, dice, non conosce il motivo della richiesta. E sostiene anche di averlo avvertito: «Gli ho detto ‘ci sono i russi che ti stanno cercando, vogliono sapere dove sei’. Lui mi ha chiesto chi fossi io, non gli ho mai dato risposta. L’incontro è durato poco, 4-5 minuti».

3.000 euro

Santoro ammette di aver ricevuto 2.500 o 3.000 euro in bitcoin come compenso. E aggiunge di essersi autodenunciato: «Ero già andato dai carabinieri, avevo già iniziato a trasmettergli tutto quando stavo per andare a Roma. Sono andato a Roma, ho fatto foto a R.B. e ho portato queste foto dai carabinieri, hanno visto tutto, quindi è avvenuto tutto in quel momento. Gli ho ripetuto mille volte ‘ditemi di non fare più niente che io non faccio più niente. Ditemi di buttare via il cellulare’. Ma non l’hanno fatto. Tant’è che sono andato a chiedere una consulenza da un generale dell’esercito italiano che mi ha detto ‘prendi il computer, il cellulare, seppelliscili e dimentica tutto’. I Ros mi hanno pedinato durante l’incontro col generale e quando hanno sentito le sue raccomandazioni hanno ottenuto in poche ore l’ok alla perquisizione della mia abitazione».

Li ho adescati io

E insiste: «Io non ho collaborato con i russi. Io li ho adescati e quindi sembra una collaborazione volontaria. Invece no. Non sono un operatore delle forze dell’ordine, però se un poliziotto deve infiltrarsi in un’organizzazione gli tocca anche commettere dei reati. Io ho fatto la stessa cosa non avendone titolo. Ecco, la cosa che mi si può imputare è di aver agito senza alcun titolo». Parla anche dell’interesse « a mappare città tipo Milano e Roma, sapere dove erano posizionate telecamere pubbliche e private e poi hanno fatto questa proposta di finanziare una startup, una società per fare un progetto di questo tipo, per avere delle telecamere in queste città qui. Hanno detto che avrebbero investito tutti i soldi necessari per fare una cosa di questo tipo».

E la Nato?

L’ultima risposta riguarda i documenti Nato che lui voleva far avere all’Fsb: «Loro chiedevano documentazione in riferimento alla guerra. Magari gli interessava sapere in anticipo se ci fosse stato un dispiegamento di forze, se ci sarebbero stati degli attacchi, delle cose di questo tipo in via preventiva. Io gli facevo credere di poter avere quei documenti proprio per non far finire le comunicazioni, però io non avevo possibilità di accedere a nulla di tutto ciò». Mentre la richiesta di andare in Russia non è arrivata per scappare. Ma sempre per verificare: «Perché io ancora oggi non ho la certezza di chi siano queste persone. Posso anche credere di aver avuto uno scambio di messaggi con un ragazzino di 14 anni russo che ha giocato con me e basta».

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