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Salvini e Orban sfidano la Corte sul mandato di arresto a Netanyahu: «Da noi è il benvenuto». Meloni prende tempo: «Approfondirò»

22 Novembre 2024 - 16:22 Filippo di Chio
matteo salvini benjamin netanyahu israele mandato arresto corte
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Il leader della Lega fa eco a Orbán e attacca: «È una scelta politica». Il premier ungherese: «Per Netanyahu qui garantisco la sicurezza»

I mandati di arresto al premier israeliano Benjamin Netanyahu e al suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant sono diventati, come era facilmente immaginabile, un caso politico internazionale. Al netto dei proclami di Washington – con Joe Biden che ha dichiarato «scandalosa» la decisione della Corte penale internazionale – il vero tema si pone per i 124 stati membri del tribunale dell’Aia, che avrebbero il dovere di eseguire la decisione della Corte. Tra questi l’Italia. Per adesso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha temporeggiato: «Approfondirò in questi giorni le motivazioni della Cpi, che dovrebbero sempre essere oggettive e non di natura politica». E ha promesso di farne un elemento chiave dell’agenda del G7 Esteri di Fiuggi-Anagni del 25 e 26 novembre.

Dietro di lei la maggioranza sembra spaccarsi tra i «vedremo», i «se così vi pare» e i no secchi. Quest’ultima è la posizione espressa stamattina, venerdì 22 novembre, dal leader della Lega Matteo Salvini. Una sorta di eco lontana dell’invito che il premier ungherese Viktor Orbán ha già elargito in direzione di Benjamin Netanyahu: «Non abbiamo altra scelta che sfidare la decisione della Cpi».

Tajani vago, Crosetto ammette: «Decisione sbagliata, ma la eseguiremo»

In Italia, mentre le opposizioni sono unite nel sostegno alla decisione dell’Aia, al governo la situazione è ben più delicata. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha rimandato il tutto a una futura «valutazione insieme ai nostri alleati» riguardo all’interpretazione della scelta e alle conseguenze che questa può avere. Più sbilanciato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che a Porta a Porta ha dichiarato «sbagliata» la decisione nella sua forma «a tre», cioè che va di fatto a equiparare il governo di Tel Aviv al leader di Hamas Mohammed Deif, anche lui raggiunto da un mandato dell’Aia. Posizione che ha ripreso anche la premier Meloni: «Un punto resta fermo per questo governo: non ci può essere una equivalenza tra le responsabilità dello Stato di Israele e l’organizzazione terroristica Hamas». Ma Crosetto ha specificato: «aderendo noi alla Corte penale internazionale dovremmo applicare le disposizioni e se venissero in Italia Netanyahu e Gallant dovremmo arrestarli. Non per decisione politica ma per applicazione di una normativa internazionale».

Salvini all’attacco: «Netanyahu è il benvenuto in Italia»

Matteo Salvini sembra quasi stare all’opposizione. Il sentimento è condiviso con Crosetto («I criminali di guerra sono altri»), ma i leader del Carroccio porta il disaccordo un passo più in là. «Conto di incontrare presto esponenti del governo israeliano e se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto», ha detto a margine dell’assemblea Anci. «Israele è sotto attacco da decenni: dire che il criminale di guerra da arrestare è il premier di una delle poche democrazie che ci sono in Medio Oriente mi sembra irrispettoso. È evidente che sia una scelta politica dettata da alcuni paesi islamici che sono maggioranze in alcuni istituzioni internazionali».

L’invito di Orbán

Le parole del ministro delle Infrastrutture italiano trovano supporto nell’amico e partner europeo Orbán. «Inviterò Netanyahu a venire in Ungheria, dove posso garantirgli che la sentenza della Corte penale internazionale non avrà alcun effetto», ha dichiarato il capo del governo ungherese in un’intervista alla radio statale. Un suo portavoce ha poi rincarato la dose, definendo il mandato di arresto «una decisione sfacciata e cinica» e «un’interferenza con motivazioni politiche». Il premier israeliano ha ringraziato Budapest, lodandola per la sua «chiarezza morale».

La Germania prende tempo, la Russia scrolla le spalle

Intanto altri governi si trovano a dover fare i conti con la decisione della Cpi. Berlino, quasi colta ala sprovvista, ha preso tempo: «Esamineremo coscienziosamente i passi da compiere», ha scritto in una nota il portavoce del cancelliere. «Ulteriori passi saranno compiuti solo quando sarà prevedibile una visita in Germania di Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant». Le motivazioni sono presto dette: una sorta di lacerazione interna costitutiva, tra essere membro della Cpi e le «grande responsabilità con Israele», fardello storico per Berlino.

Dall’altra parte, esattamente con lo stesso tono di Washington, anche Mosca archivia la decisione dell’Aia come «insignificante». Entrambe le potenze – Stati Uniti e Russia – non fanno parte della Cpi e hanno già messo in chiaro che non si accoderanno alla scelta di indicare il governo israeliano come criminale di guerra e contro l’umanità.

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