Angela Merkel, Putin, Trump e Berlusconi: «Il potere per me è avere la possibilità di plasmare la realtà»
Silvio Berlusconi? Alla fine era un europeista. Mentre la sua politica con Vladimir Putin voleva evitare l’invasione dell’Ucraina. Mentre Donald Trump voleva già mettere dazi alle auto tedesche perché secondo lui ce ne erano troppe a Manhattan. Angela Merkel si racconta oggi in un’intervista al Corriere della Sera. Nel colloquio con Marta Gergolet e Paolo Valentino si parla di Libertà, il suo libro con Beate Baumann in uscita la prossima settimana. E Merkel spiega cos’è per lei il potere: «è per me la possibilità di plasmare qualcosa. Avere delle maggioranze, prendere decisioni che lascino un segno insieme alle persone che hanno ottenuto i loro mandati. Costruire maggioranze, unirle, trovare compromessi. Questo è il potere».
Putin e l’Ucraina
Merkel parte da Putin: «Io conoscevo molto bene le intenzioni del presidente Putin. Le ha sempre espresse sia pubblicamente che nei colloqui riservati. Sapevo che non avevamo a che fare con un amico dell’Europa. La questione era solo come reagire. La mia risposta non è stata di non avere più alcun rapporto con Putin, ma piuttosto di cercare di impedire l’invasione dell’Ucraina attraverso colloqui, a volte anche molto polemici nei quali non ho usato alcun giro di parole. Per un certo periodo ha funzionato. Con l’inizio della guerra russa contro l’Ucraina, la situazione è fondamentalmente cambiata». Secondo Merkel «Putin cercava di fare della Russia di nuovo una grande potenza. Ma non era in grado di farlo sul piano economico, attraverso il benessere per tutti. Ci ha invece provato con i metodi imparati nel servizio segreto, il Kgb, attraverso la forza militare e il nazionalismo russo. Così molte delle speranze che avevamo nel 1990, che la Russia prendesse gradualmente la strada della democratizzazione, non si sono avverate».
Trump e gli Stati Uniti
Donald Trump, invece, subiva il fascino di Putin». E «vede tutto dal punto di vista dell’immobiliarista che è stato». Per lui, spiega l’ex cancelliera «non ci sono mai situazioni “win win”, dove entrambi i partner di un accordo ottengono vantaggi. Per lui o l’uno o l’altro deve ottenere un profitto. È un’idea che non condivido. Penso che abbiamo concluso molti accordi nel mondo, vantaggiosi per entrambe le parti. A differenza di lui, credo nella forza dei compromessi. La cosa più importante è cooperare con Trump, da partner e rappresentanti di un Paese, liberi da paure e sicuri di sé, difendendo in modo chiaro i propri interessi — nel mio caso erano quelli tedeschi ed europei — così come lui difende i suoi». E quella volta che al vertice del G7 in Canada, gettò sul tavolo due caramelle Starbust dicendole: «Eccoti Angela, così non andrai in giro dicendo che non ti ho dato mai nulla»? «Non darei troppa importanza a quell’episodio».
La caduta di Berlusconi
Merkel risponde anche all’accusa di aver avuto un ruolo nella caduta di Berlusconi: «No, smentisco categoricamente. Non mi sono mai immischiata negli affari interni di un Paese amico. E di questa variante non avevo mai sentito parlare. È stato anche detto che una conferenza stampa di Nicolas Sarkozy e mia (Consiglio europeo di Bruxelles 2011 n.d.r. ) avrebbe contribuito alla caduta di Berlusconi. Non lo credo. Non è assolutamente possibile che un capo di governo straniero causi la caduta di un altro. Questo ha sempre a che fare con i fatti interni di un Paese». Con lui, ricorda, ha lavorato «più amichevolmente di quanto molti pensavano. Si adoperava sempre per raggiungere comuni compromessi europei. Questo l’ho apprezzato. Durante la crisi dell’euro la cooperazione con lui si è fatta più difficile».
L’Afd e la Ddr
Sull’ascesa dell’AfD e su sue presunte responsabilità, Merkel ricorda che il partito «è nata durante la crisi dell’euro, già allora con la tesi che stessimo concedendo troppo agli altri Paesi. Certo, la questione dei rifugiati ha giocato un ruolo nel suo rafforzamento. Tuttavia, l’AfD non si contrasta adottando la sua agenda, bensì facendo i compiti a casa e risolvendo i problemi». Infine, la Ddr e la differenza tra Est e Ovest: «Per molti può giocare un ruolo. In effetti, solo ora che non sono più cancelliera e mentre scrivevo il libro, ho iniziato a riflettere più profondamente sulla mia infanzia e la mia vita nella Ddr, ossia sui miei primi 35 anni, esattamente la metà della mia vita. Quando nel 2020 è stato pubblicato quell’articolo sulla “zavorra”, mi sono sentita indignata. Mostrava una profonda incomprensione, come se non fosse possibile avere esperienze e ricordi preziosi in un Paese in cui non c’era la libertà dell’Occidente. Eppure, è stata una vita sfaccettata, a volte naturalmente anche difficile. Descrivere tutto questo con la parola “zavorra” è temerario, per usare un eufemismo. Mi ha irritato, e non ho più represso questa rabbia. Nel mio ultimo discorso l’ho potuta esprimere».