Francesco Milleri, Leonardo Del Vecchio e gli eredi di EssilorLuxottica: «Ci vuole responsabilità»
Francesco Milleri è stato il braccio destro di Leonardo Del Vecchio per molti anni. «Vede quelle finestre qui di fronte? . È lì, al terzo piano, in una saletta illuminata dai lampadari Baccarat che con Leonardo Del Vecchio… anzi no, non con Leonardo Del Vecchio, ma ascoltando lui che mi continuava a dire che questa è un’azienda che deve cambiare, che non deve dormire su quello che ha fatto…. Non era tipo da troppe parole. Forse il suo pregio maggiore era quello di focalizzare in maniera unica problemi e soluzioni potenziali. Pensi che nel 2014 facevamo 7,7 miliardi di ricavi con una crescita vicina al 7%…», dice in un’intervista di Daniele Manca per il Corriere della Sera.
Il telefonino
«E noi ce ne stavamo in quella stanzetta del terzo piano con Leonardo che mi mostrava uno smartphone e mi diceva: vedi questo telefonino? Lo usano tutti, e perché noi qui in azienda siamo ancora ai tempi del telefono da scrivania? E questo mentre staccava un sostanzioso dividendo grazie ai quasi 700 milioni di utile», ricorda Milleri «Lui mi voleva nel consiglio d’amministrazione di Luxottica, poi arrivarono prima la nomina a vicepresidente nel 2016 e ad amministratore delegato l’anno successivo», continua. «Quando Leonardo, insoddisfatto delle performance della sua Luxottica, decide di tornare al comando, mi chiede se sono disponibile a essere al suo fianco. E la mia risposta è stata un sì pieno di entusiasmo. Iniziamo a discutere di come trasformare l’azienda, come introdurre in maniera sostanziale e strategica il digitale, iniziamo di fatto a stare quasi tutto il giorno assieme», ricorda.
Io e Leonardo
Poi Leonardo gli ha proposto di diventare amministratore delegato: «E io rispondo nel modo più sincero: se pensi che possa farlo lo farò. Avevo davanti a me uno di quei pochi imprenditori che non aveva paura di fare il passo più lungo della gamba. Che aveva cambiato quattro amministratori delegati in rapida successione. E io ero lì al suo fianco mentre lo faceva. E che mi diceva che l’azienda andava ripensata. Che era troppo piccola. Pensi, valeva già 20 miliardi». E arriva l’accordo con i francesi: «C’erano stati numerosi tentativi di trovare un accordo con Essilor, ma tutti si erano infranti sulla futura governance del gruppo. Una sera eravamo qui, come al solito, e mi disse: questa è troppo importante per non provarle tutte; hai carta bianca, ma facciamo in fretta un ultimo tentativo. Avevo davanti a me i manager di Essilor, professionisti straordinari che stavano mostrando aperture. Così nacque l’idea del periodo di tre anni di poteri uguali fra le due strutture. Investitori e media si dimostrarono scettici, ma ora a distanza di quasi dieci anni siamo qui a celebrare un modello che ha fatto scuola. Mi ricordo di aver pensato che non avevo mai conosciuto imprenditori con un tale coraggio. Ed eccoci qua».
La morte di Del Vecchio e la famiglia
E qui arriva la famiglia e gli otto eredi che non sembrano trovare un accordo: «È importante ricordarci sempre che siamo un gruppo da 100 miliardi e 200 mila persone, fortemente radicato nel Paese e con grandi stakeholder internazionali. Che dà al Paese senza chiedere niente in cambio. Si deve capire, le persone che hanno peso in questo gruppo devono capire, che questo implica delle responsabilità. Non sta a me decidere. Io posso solo facilitare, continuando il percorso di crescita, accelerando sull’innovazione, ottimizzando gli investimenti, in sostanza portando questo gruppo e la holding che ne rappresenta il principale azionista nel futuro».