Mandato arresto Netanyahu, ancora scintille tra Tajani e Salvini. Il forzista: «La politica estera è cosa seria, la facciamo Meloni e io»
La crociata contro i giudici di Matteo Salvini travalica i tribunali italiani e arriva fino alla Corte penale internazionale. Il vicepremier leghista se ne infischia del mandato d’arresto emesso per Benjamin Netanyahu e ricorda al premier israeliano che «sarebbe il benvenuto se venisse in Italia». Salvini delegittima anche i magistrati della Corte dell’Aia: «È evidente che sia una scelta politica dettata da alcuni Paesi islamici che sono la maggioranza in alcune istituzioni internazionali». Queste parole, pronunciate all’indomani della notizia che Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant sono diventati passibili di arresto qualora entrassero in Italia, sono state censurate da Antonio Tajani. Il segretario di Forza Italia, nonché ministro competente negli Affari esteri, afferma a Repubblica: «La politica estera si deve fare in maniera costruttiva. È una cosa seria. Ogni parola va pesata, ponderata, calibrata. C’è di mezzo un Paese. E quindi la linea viene espressa dal presidente del Consiglio e dal ministro degli Esteri».
Il riferimento a Salvini è esplicito, ma Tajani schiva lo scontro diretto con il segretario del Carroccio e vicepremier come lui del governo Meloni. «Un leader di partito parla di quello che vuole. Ma restano opinioni politiche di un leader di partito, che però non diventano automaticamente la linea dell’esecutivo. Io tendo a evitare di rispondere a nome del governo su questioni legate alle competenze degli altri ministri». La posizione ufficiale del governo italiano, spiega il titolare della Farnesina, è quella di leggere prima le carte dell’Aia: «Vogliamo capire le motivazioni della sentenza, ragionare su cosa sostiene la Corte. Noi riconosciamo e sosteniamo la Corte penale. Ma lo facciamo ricordando che deve avere sempre una visione giuridica e non politica».
Anche il forzista sembra alludere a un’influenza politica sul parere dei magistrati, salvo poi chiarire meglio il suo pensiero: «Stiamo dicendo, il presidente del Consiglio ed io, che una sentenza di questa portata ha un effetto politico profondo sulla gestione non di un confitto, ma della sua conclusione. Non è possibile equiparare e mettere sullo stesso piano il premier democraticamente eletto di Israele e un capo terrorista. Una cosa è sottolineare la sproporzione della risposta di Israele nella Striscia, su cui siamo tutti d’accordo. Altro è un mandato di cattura». E conclude: «Non ci sono tre posizioni – nel governo -. Ce n’è soltanto una: quella del presidente del Consiglio, concordata con il ministro degli Esteri».