Nole Canavese, Carola Finatti e l’infanticidio della figlia: «Non ce la faccio più a crescerla»
Si chiama Carola Finatti la donna che ha ucciso la figlia Perla di dieci mesi a Nole Canavese in provincia di Torino. Soffriva di depressione post partum. E ieri aveva in programma una nuova visita dalla psicoterapeuta. Prima di ucciderla affogandola nella vaschetta, Carola ha scritto una serie di biglietti. «Non ce la faccio più», «Non riesco a tenere la bambina», «Non ce la faccio a crescerla», c’era scritto secondo quanto racconta oggi La Stampa. Poi ha provato a uccidersi con un coltello. A trovare la bimba è stato il padre, che ha chiamato subito il 118. Quando sono arrivati nella villetta di via Grazioli i carabinieri di Venaria hanno trovato il nonno Antonio Parrinello che cercava di rianimarla. La madre è ricoverata in stato di fermo.
L’infanticidio
«Perla era nella vaschetta del bagnetto. L’ho trovata io. Ero venuto apposta a casa perché ci tenevo ad accompagnare Carola dalla psicologa. Da quando aveva iniziato a stare male, ha fatto il possibile. Ci siamo fatti aiutare da subito. Avevamo voluto tanto questa bimba. Stiamo insieme da diciotto anni e la aspettavamo da tanto», dice il padre. La procura di Ivrea, che coordina l’inchiesta con la pm Elena Parato, sta raccogliendo le testimonianze di familiari e amici per ricostruire la dinamica della tragedia. Intanto il quotidiano sente Grazia Beva, la dottoressa che seguiva Carola Finatti e che la conosce «da quando è nata». Beva deve rispettare il segreto professionale ma qualcosa ci tiene a dirla: «Carola è una persona splendida. E adorava la sua bambina. La adorava. Questa è la parola giusta».
La dottoressa
«Ho continuato a seguirla, con altri professionisti, da quando sono emersi i primi sintomi della sua depressione post partum. Era certo che fosse quella. Non avevamo dubbi. E quando lo abbiamo capito, abbiamo attivato tutta la rete del sistema sanitario. Io come medico, la psichiatra, la psicologa. Carola era in terapia. Cosa avrebbe dovuto fare più di così?», spiega Beva. Poi conclude: «Ma Carola, e questo vi prego scrivetelo, è doveroso, da subito si era allertata per le cure. Era seguita da tutti. E tutta la sua famiglia si è mossa, unita, con lei, per aiutarla. Ce la stava mettendo tutta. Ultimamente, in questo recentissimo periodo, sembrava che le cose stessero un pochino migliorando. E invece».
Cos’è la depressione post partum
Francesca Lesmo, dottoressa in psicologia clinica e specializzata in psicoterapia psicoanalitica dell’età evolutiva, a proposito della depressione post partum spiega al quotidiano che «c’è una maggiore solitudine nelle mamme in un momento che provoca cambiamenti deflagranti nella vita di tutti i giorni. E poco si fa per seguire le neomamme». Si manifesta come «una sensazione di angoscia che non passa, l’angoscia nel pensare alla nuova giornata e sentirsi senza le forze per affrontarla. Poi c’è la paura di commettere errori, quella ricerca eccessiva di perfezione. E l’indisponibilità alla condivisione del proprio stato d’animo». E questo perché «si è consapevoli di essere responsabili di una creatura al 100%, che quella creatura non è autosufficiente, ma ci si vergogna a dire che si è stanche, che si avrebbe voglia di un momento di riposo».
Il suicidio
Ma Lesmo precisa: «Non tutte le donne che soffrono di depressione post parto uccidono i propri figli. Ma questo stato psicologico le rende più fragili. Le porta a una disperazione tale da compiere gesti tremendi». Il tentativo di suicidio, in questa ottica, «è il passo successivo: è l’estremo tentativo di mettere fine a due dolori: della solitudine e dell’infanticidio».