Libano e Gaza, l’Italia pronta a mandare più soldati dopo il cessate il fuoco. Tajani: «Mai nostri uomini in Ucraina» – Il video
Da Fiuggi – Mai un soldato italiano in Ucraina, a prescindere da quello che vorranno fare altri Paesi anche europei. Sì invece a forze italiane anche maggiori in Libano, specialmente se sarà annunciata ufficialmente la tregua di cui si vocifera con insistenza in queste ore, così come nella Striscia di Gaza, dopo che anche lì si sarà concretizzato il tanto agognato cessate il fuoco. Sono i punti fermi sulle grande crisi alle porte d’Europa sottolineati oggi da Antonio Tajani nel giorno in cui si è aperto a Fiuggi e Anagni il vertice dei ministri degli Esteri del G7. Un appuntamento con il quale l’Italia «è essere protagonista del dibattito e del dialogo sulle crisi che affliggono il Medio Oriente» ed oltre, ha rivendicato Tajani. Nel primo pomeriggio del vertice – l’ultimo nel calendario 2024 della presidenza italiana del G7 – il capo della diplomazia ha accolto alle porte di Roma i ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito, Germania, Usa, Canada e Giappone, come da protocollo. Ma anche quelli di partner chiave della regione come Egitto e Libano, Giordania ed Emirati Arabi Uniti, oltre al segretario generale della Lega Araba. Bene il G7 che mette insieme le forze occidentali, ha sottolineato Tajani, ma «non dobbiamo rinchiuderci in una torre d’avorio» – di qui la necessità di allargare la conversazione ad altri Paesi chiave per disinnescare le fonti di tensione internazionale.
L’impegno militare italiano in Libano (e a Gaza?)
Tra Israele e Hezbollah tutto sembra indicare che un’intesa per la tregua sia in dirittura d’arrivo, anche per le pressioni esercitate da Donald Trump su Benjamin Netanyahu. Tajani non vuole sbilanciarsi sulla prospettiva, ma ammette di essere «ottimista» su questo fronte, e guarda già al dopoguerra. «Se le autorità libanesi lo vorranno l’Italia è disponibile ad essere protagonista per sorvegliare applicazione dell’accordo, insieme agli Stati Uniti e agli altri», dice Tajani parlando coi cronisti a metà pomeriggio. Che significa? Che la missione Unifil può e deve essere rafforzata, come gli esponenti del governo italiano vanno ripetendo da settimane, e il suo upgrading può essere funzionale proprio al peace-keeping nel nuovo scenario dopo la guerra. Tajani immagina un «doppio cuscinetto» tra Israele ed Hezbollah per evitare che la situazione torni a precipitare nel prossimo futuro: l’Unifil «con regole differenti» dalla frontiera Israele-Libano siano al fiume Litani, le forze libanesi adeguatamente rinforzate al di sopra del fiume. Messo in chiaro che nella discussione odierna «siamo tutti favorevoli al cessate il fuoco» non solo in Libano, ma pure a Gaza, Tajani ha ammesso che in questa seconda area la situazione è «più difficile». Eppure l’Italia pensa già al dopo anche per i territori palestinesi. «Dobbiamo unificare la Palestina sotto l’egida dell’Anp, unendo Cisgiordania e Striscia di Gaza», teorizza Tajani, che fa sapere che l’Italia è pronta a inviare non solo i 200 carabinieri già richiesti dagli Usa, ma anche soldati italiani nell’ambito di una possibile missione internazionale per gestire il dopoguerra nella Striscia.
Le divisioni sulla Cpi
Sul vertice del G7 aleggia pure lo spettro del mandato d’arresto della Corte penale internazionale contro Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant per crimini di guerra a Gaza. Non è un mistero che i diversi Paesi occidentali (e l’Ue) abbiano reagito in ordine sparso alla sentenza della Corte, e che l’Italia abbia tenuto in questi giorni un profilo basso, in attesa di «studiare in profondità» la decisione. Il G7 dunque cos’ha da dire in proposito? «Stiamo lavorando a una posizione comune del G7 sulla questione», fa sapere Tajani, senza chiarire quale questa potrebbe essere (gli Usa non riconoscono la giurisdizione della Cpi e ne hanno condannato con vigore la decisione). «È un problema politico, non solo di giustizia, dobbiamo fare tutto il possibile per arrivare alla pace», si limita a dire il ministro degli Esteri italiani, che fa sapere che i direttori politici dei ministeri dei Paesi del G7 sono ora al lavoro per tentare di concordare un testo comune da inserire nella dichiarazione finale del vertice. Tajani comunque lascia intendere di nutrire serie riserve sui mandati d’arresto spiccato dalla Corte dell’Aja: «Non ci convince l’equiparazione tra il capo di un movimento terroristico che ha scatenato la peggior caccia all’ebreo dalla Shoah e quello di un governo eletto, fermo restando che non condivido le azioni messe in campo in risposta» negli ultimi mesi a Gaza, dice il ministro che ribadisce come Netanyahu sia «il primo ministro eletto di una democrazia, dunque è con lui che bisogna trattare» perché «l’obiettivo è la pace» sì ma «dobbiamo essere realisti».
«Mai un soldato italiano in Ucraina»
L’escalation nella guerra tra Russia e Ucraina sarà al centro della discussione del G7 domattina, quando interverrà anche il ministro degli Esteri di Kiev Andrii Sybiha. Ma Tajani non elude la domanda sul rischio che il conflitto in Est Europa tracimi pericolosamente. Se è vero che Francia e Regno Unito stanno pensando, come scritto nelle scorse ore da Le Monde, di inviare propri contractor in Ucraina, l’Italia è aperta a fare altrettanto? «Continuiamo ad aiutare l’Ucraina mandando materiale militare, ma non manderemo soldati italiani in Ucraina», taglia corto Tajani, che sottolinea come l’imperativo ora si quello di evitare l’escalation. Che comunque ha un mandante primario evidente. «La Russia si sta assumendo gravi responsabilità facendo combattere anche soldati nordcoreani e ora arruolando anche Houthi, quindi amici e proxy dell’Iran. Noi dobbiamo lavorare per la de-escalation, fermo restando che siamo per una pace giusta: il che significa no alla sconfitta dell’Ucraina e sì alla difesa del diritto internazionale».