Il Tar difende la maturità durante la pandemia (senza scritti e preparata in Dad): «Criteri equi, dava peso all’intero ciclo scolastico»
Il Tar del Lazio ora difende la maturità della pandemia. Una battaglia legale durata 4 anni ha messo un punto alla storia di uno studente del liceo scientifico sportivo di Saronno che ha tentato, senza successo, di annullare la sua bocciatura all’esame di maturità. «La didattica a distanza è stata meno efficace di quella in presenza e l’aumento del peso dei crediti scolastici mi ha penalizzato». Sono alcune delle motivazioni che l’alunno ha portato davanti al tribunale per chiedere di annullare la maturità. La storia è iniziata nel 2020 in piena pandemia Covid, quando studenti e studentesse di tutta Italia si sono ritrovati a fare lezione tra le mura domestiche e di fronte a un computer. Il cuore del ricorso, come ricostruisce il testo della sentenza, sollevava non solo dubbi sulla didattica a distanza dell’emergenza sanitaria, ma anche accuse di presunta disparità di trattamento rispetto agli anni precedenti. Come se non bastasse, lo studente aveva puntato il dito contro il presunto comportamento scorretto degli insegnanti durante la prova orale della maturità. Ma andiamo con ordine.
Il ricorso contro la didattica a distanza
Nel ricorso, lo studente bocciato lamentava che l’introduzione della didattica a distanza avesse rappresentato un serio ostacolo per gli studenti, penalizzando soprattutto quelli «sprovvisti di strumenti tecnologici adeguati o di una connessione internet stabile per seguire le lezioni». A suo avviso, questa modalità di didattica, sarebbe stata «meno efficace rispetto alle lezioni in presenza, rendendo più complesso raggiungere gli obiettivi previsti dalla programmazione didattica». Inoltre, «la sospensione delle lezioni in presenza ha impedito di svolgere le simulazioni d’esame, come avveniva negli anni scolastici precedenti, di recuperare le insufficienze nel secondo quadrimestre e di restare al passo con le lezioni».
La modifica sui crediti scolastici: perché secondo i giudici era giusta
La didattica a distanza non è stata l’unica argomentazione avanzata dallo studente contro la maturità Covid. Il giovane ha, infatti, lamentato di essere stato penalizzato anche da una modifica dei criteri di valutazione introdotta in quell’anno, tra cui l’aumento del peso attribuito ai crediti scolastici, che nel calcolo del punteggio finale erano passati dal 40% al 60%. «Non si può parlare di disparità di trattamento, perché non è irragionevole dare maggiore peso al credito formativo rispetto al punteggio dell’esame finale», dichiara ora il tribunale prendendo le difese di una maturità che all’epoca aveva creato non poche polemiche. Aspetto giustificato, secondo i giudici, dalla riduzione dell’esame di maturità nel 2020, che ha avuto meno prove e aumentato il rischio di valutazioni arbitrarie, soprattutto se uno studente avesse ottenuto un buon punteggio per il credito scolastico, ma non si fosse comportato bene nell’esame.
I voti falsi e la durata dell’esame
Nel ricorso, la famiglia aveva incluso anche un’accusa particolarmente grave, per la quale avevano anche presentato denuncia: i docenti avrebbero falsificato i voti nei registri, influendo negativamente sulla media finale e sul credito scolastico dell’alunno. Ma non finisce qui. Ha contestato anche l’irregolarità della prova orale, «svolta in soli 30 minuti» anziché nei 60 previsti e con «poche domande che non hanno permesso alla commissione di valutarlo adeguatamente».
La sentenza del Tar
Tutte le motivazioni sollevate dallo studente non hanno in alcun modo convinto il Tar del Lazio, che ha respinto ogni singola contestazione, facendo innanzitutto riferimento al fatto che le misure straordinarie adottate dal Ministero dell’Istruzione erano giustificate dall’eccezionalità della pandemia. Quanto al sistema di calcolo dei punteggi, i magistrati hanno infatti ritenuto che in realtà garantiva una valutazione più ampia e accurata, poiché teneva maggiormente conto del percorso complessivo degli studenti, anziché basarsi principalmente sulla prestazione d’esame. Per quanto riguarda le critiche alla didattica a distanza, il tribunale ha respinto le argomentazioni al mittente, bollandole come «troppo generiche e non supportate da prove specifiche» che dimostrassero un collegamento diretto tra le presunte difficoltà tecnologiche e il calo nel rendimento. La denuncia riguardante i voti falsi si è rivelata priva di fondamento. Per il tribunale, l’accusa si basava unicamente sulla testimonianza della madre dello studente, giudicata insufficiente per dimostrare concrete irregolarità. Quanto invece al colloquio d’esame, il Tar ha precisato che la durata di 60 minuti non era vincolante, ma «indicativa», e che eventuali «risposte palesemente errate o silenzi prolungati», riportati dagli stessi commissari, avevano giustificato la valutazione negativa.