Immunità diplomatica, viaggi, Paesi terzi: i dubbi dell’Italia sul mandato d’arresto a Netanyahu. E Tajani ora dice: «Decisione inattuabile»
Da Fiuggi – «Nell’esercizio del proprio diritto di difesa, Israele è tenuto in ogni caso a rispettare pienamente gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario. Ribadiamo il nostro impegno nei confronti di tale diritto e rispetteremo i nostri obblighi. Sottolineiamo che non ci può essere alcuna equivalenza tra il gruppo terroristico di Hamas e lo Stato di Israele». Sono le cinque righe che compaiono nella dichiarazione finale del G7 di Fiuggi (su 16 dense pagine) relativamente al tormentato rapporto tra la guerra a Gaza e il diritto internazionale. Nessun cenno esplicito alla Corte penale internazionale, dunque, e ai suoi mandati d’arresto spiccati nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu, del suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant e del leader (già defunto?) dell’ala militare di Hamas Mohammed Deif. Il segno tangibile che sulla questione, come anticipato da Open, le distanze tra i Paesi del blocco occidentale erano e rimangono troppo nette perché si potesse concordare un testo comune di merito. L’America di Joe Biden, per non parlare di quella a venire di Donald Trump, disconosce la Corte dell’Aja e condanna senza sé e senza ma quei mandati, visti come una pericolosa equiparazione tra Israele e Hamas. L’Europa proclama invece la sua adesione alle decisioni della Corte, seppur con toni diversi: duro Josep Borrell (Ue), che parla apertamente di arresto necessario di Netanyahu, più istituzionali ma chiari Francia e Regno Unito («Applicheremo rigorosamente gli obblighi che ci incombono dal diritto internazionale», dice nel pomeriggio il premier di Parigi Michel Barnier). A restare nel mezzo, alla fine, è la posizione dei due Paesi europei del G7 più sensibili alle ragioni di Israele: Italia e Germania.
Tutti i dubbi dell’Italia
Antonio Tajani chiude il “suo” G7 degli Esteri soddisfatto per aver portato a discutere per 36 ore i grandi del mondo a Fiuggi e Anagni, e anche, con ogni evidenza, per l’accordo sul cessate il fuoco in Libano ormai alle porte. Ma nella conferenza stampa di fine vertice si muove su un filo fragilissimo per illustrare la posizione italiana sui mandati d’arresto spiccati dalla Corte. «Rispetteremo il diritto internazionale», ribadisce come già detto in mattinata. Ma quell’impegno è accompagnato da molti “se” e “ma”. E non solo per il rischio politico di mettere sullo stesso piano Hamas e Israele. «Bisogna capire di che diritto si parla, per questo andrà letta con attenzione la sentenza», ragiona Tajani. In particolare, secondo il ministro, «bisogna capire se le alte cariche dello Stato godono dell’immunità, e poi se le decisioni della Corte valgano anche per Paesi non firmatari (della Convenzione di Roma, ndr): insomma, ci sono molti dubbi giuridici». Senza contare che al piano della teoria giuridica va affiancato quello della realtà: «Netanyahu in ogni caso non andrà mai in un Paese dove potrebbe essere arrestato. E poi, anche fosse, chi lo arresterebbe? La procedura è complessa, ci va il mandato di un magistrato, poi qualcuno che esegua effettivamente l’arresto, e si tratta di un capo di governo straniero, non di un privato cittadino. È un periodo ipotetico, una decisione inattuabile». Qualcuno gli fa notare che analoghe perplessità potrebbero inficiare l’eventuale cattura di Vladimir Putin, ricercato anch’egli dalla Cpi per crimini di guerra. «È diverso, lui ha invaso un Paese inerme», taglia corto Tajani.
In copertina: Il ministro degli Esteri Antonio Tajani alla conferenza stampa di chiusra del G7 dei Ministri degli Esteri – Fiuggi, 26 novembre 2024 (ANSA/ALESSANDRO DI MEO)