«Stragi del 7 ottobre causate dall’arroganza di Netanyahu, ha rafforzato Hamas»: l’indagine conclusa dai familiari delle vittime
Una condanna senza appello nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ritenuto colpevole di aver «soffocato le voci critiche, radicato l’errata concezione che il denaro potesse comprare la tranquillità con Hamas e alimentato l’impreparazione dello Stato sotto quasi ogni aspetto». È quanto si legge nel rapporto finale della Commissione d’inchiesta civile indipendente, che aveva lo scopo di individuare i responsabili del 7 ottobre 2023, quando centinaia di miliziani di Hamas entrarono in Israele e massacrarono oltre 1.200 civili. Una accusa senza se e senza ma, diretta alla persona del premier, e che funge da cartina al tornasole del sentore popolare. Il report è frutto di un lavoro di quattro mesi, durante il quale sono state raccolte le testimonianze di circa 120 abitanti dei kibbutz e alcuni familiari delle vittime di Hamas.
L’arroganza di Netanyahu e i finanziamenti ad Hamas
Il piano di Hamas era noto da tempo, perché alle forze militari no? «Arroganza e cecità intrinseca», la risposta della Commissione è icastica. Una incapacità di vedere al di là del confine con la Striscia che si è riversata nella strategia di finanziamento di Hamas per minare la stabilità di Abu Mazen, presidente della Autorità nazionale palestinese e della Palestina. Valigie di contanti che – questa l’illusione di Netanyahu – non avrebbero mai permesso alla formazione paramilitare di armarsi contro Tel Aviv. Una sicurezza comprata con il denaro, e che ha portato il premier a «non consultarsi con le parti interessate». In primo luogo le forze di intelligence (Mossad, Shin Bet su tutti), che da mesi allertavano Tel Aviv di un possibile conflitto imminente con Hamas. La risposta sarebbe sempre stata la stessa: «Hamas è scoraggiato e non vuole una campagna ad alta intensità».
L’indebolimento degli organi di controllo
Da qui, dalla pretesa di poter gestire tutto da sé, sarebbe derivata una seconda problematica: «Il deterioramento delle relazioni tra leadership politica e militare», che avrebbe influenzato pesantemente il «processo decisionale del governo israeliano». La mancanza di ascolto avrebbe infatti causato «l’impreparazione di vari ministeri e sistemi pubblici, ritardando la risposta ai residenti assediati e successivamente agli sfollati del sud e del nord». Fallimenti durati settimane oltre il 7 ottobre, che durerebbero fino a oggi: «Sono ancora in pieno vigore tutti quei fattori che non generano una profonda riflessione strategica sui possibili sviluppi della sicurezza». E che sarebbero iniziati anni prima, con il «costante indebolimento di vari organi di controllo e lo svuotamento delle istituzioni, al punto che non svolgono più le loro funzioni». Anzi, «nell’ultimo decennio si è creata un’atmosfera in cui l concetto guidato dal primo ministro e dai leader militari diventa l’unica verità». E il Consiglio di sicurezza è solo un organo che «serve le intuizioni del premier».
Le responsabilità di Gallant e il rapporto teso con il premier
All’interno di questo sistematico infiacchimento dei centri decisionali, tra cui governo e consiglio di sicurezza nazionale, un faro specifico è puntato sulla relazione tra Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, raggiunti nei giorni scorsi da un mandato di arresto emanato dalla Corte penale internazionale. «La relazione tesa tra il primo ministro e il ministro della Difesa – si legge nel rapporto – ha danneggiato gravemente la sicurezza dello Stato fino alla destituzione di quest’ultimo». Anche da qui, oltre che dall’impreparazione totale di fondo, è derivata la mancata efficacia della reazione all’attacco del 7 ottobre. L’Idf, secondo la commissione, si sarebbe affidata eccessivamente alla tecnologia e troppo poco agli uomini in campo, tanto che in un campo militare non erano presenti fucili da usare per difendersi. Un concetto riassunto con una parola: «Abbandono»
Bennett e Lapid (quasi) come Netanyahu
Oltre a Netanyahu e ai suoi ministri, la Commissione ha sottolineato le responsabilità degli ex premier Naftali Bennet e Yair Lapid. Anche loro, in forme diverse rispetto a Benjamin Netanyahu, hano implementato il sistema di «denaro in cambio di tranquillità», che negli anni ha permesso all’arsenale di Hamas di crescere a dismisura. Il governo, poi, si è reso colpevole anche «dell’incapacità di fornire una risposta alle famiglie delle persone scomparse e prigioniere». Per tutto questo «nove milioni di procuratori chiedono risposte».
Foto di copertina: EPA/ABIR SULTAN