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Guerra a Gaza, Netanyahu farà ricorso alla Cpi contro il mandato di arresto. Ma c’è chi spera nelle «sanzioni infernali» di Trump

27 Novembre 2024 - 17:28 Filippo di Chio
benjamin netayahu mandato arresto corte penale internazionale ricorso trump
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Il premier israeliano ha preso la decisione a poche ore dalla deadline di oggi a mezzanotte. Molti funzionari e ministri, però, preferivano attendere l'insediamento del tycoon

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu farà ricorso in appello contro i mandati di arresto emessi contro di lui e contro il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant da parte della Corte penale internazionale. Lo riferisce Ynet. Una decisione soppesata a lungo e a cui il governo di Tel Aviv è giunto all’ultimo momento: la mezzanotte di oggi era infatti il termine ultimo entro cui era legittimo appellarsi.

La prima opzione: fare ricorso

Negli scorsi giorni, in particolare nella giornata di ieri – martedì 26 novembre -, Netanyahu si era riunito con i fedelissimi per discutere sul da farsi. Le posizioni erano due, diametralmente opposte. Alcuni sostenevano che l’eventuale appello di Israele avesse basi solide e potesse quindi essere accolto dal tribunale dell’Aia. Tel Aviv è infatti sicura, anche a partire dalle prime reazioni alla decisione della Cpi, che gran parte del panorama internazionale sia schierato al fianco di Netanyahu.

La seconda opzione: attendere le pressioni (e sanzioni) di Trump

Altri, al contrario, si opponevano a questa possibilità. Da una parte, presentare ricorso avrebbe significato riconoscere implicitamente l’autorità della Corte, di cui Israele non fa parte. Dall’altra, molti funzionari erano rassicurati dal fatto che il 20 gennaio 2025 Donald Trump si insedierà nella Casa Bianca. Secondo alti funzionari israeliani, il ritorno nello Studio Ovale del tycoon avrebbe portato un aumento delle pressioni sull’Aia. Forse addirittura «sanzioni infernali contro qualsiasi Paese che aiuti il tribunale, tanto da costringere il tribunale a fare marcia indietro». Attendere avrebbe significato «non dover supplicare un organismo di cui non ci fidiamo». Con la sicurezza che la Corte avrebbe prima o poi ceduto alle pressioni: «Ci pregheranno di dare loro una via d’uscita. Dopo aver imparato una lezione che li farà cadere di livello, potremmo considerare di aiutarli a scendere dal loro albero».

La scelta di ricorrere in appello

Alla fine l’ha avuta vintala prima opzione, quella che si appella alle vie legali. Facendo ricorso, Israele contesta le conclusioni della Corte davanti alla Camera d’appello. È bene sottolineare come procedere in secondo grado non implichi il congelamento dei mandati di arresto, che rimangono dunque “attivi”. E anche come fare ricorso, alla fine, non precluda a Tel Aviv la possibilità di attendere Trump e sperare in un supporto diretto della Casa Bianca.

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