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Rigopiano, oggi l’udienza in Cassazione. La sentenza arriverà domani, ma si rischia la prescrizione

27 Novembre 2024 - 13:09 Ugo Milano
rigopiano-valanga-processo-sentenza-cassazione
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A otto anni dalla valanga che uccise 29 persone, la Corte si esprimerà sulle 8 condanne e sulle 22 assoluzioni. La procura di L'Aquila spera nella riapertura del procedimento e nell'individuazione delle responsabilità della Regione

È attesa per domani, giovedì 28 novembre, la sentenza della Corte di Cassazione sul Rigopiano, l’albergo di Farindola (Pescara) travolto da una valanga il 18 gennaio 2017 in cui morirono 29 persone. Già oggi, in realtà, dentro il palazzo della Corte Suprema il procuratore generale dell’Appello terrà la sua requisitoria. A quel punto i giudici dovranno decidere sia sull’assoluzione dei 22 imputati su 30, come stabilito dalla Corte d’Appello di L’Aquila lo scorso 14 febbraio, sia sulle condanne già comminate. Si potrà dunque chiudere definitivamente un processo lungo otto anni oppure riaprirlo un’altra volta, rimandando il tutto al secondo grado di giudizio e con il rischio sempre più concreto che i reati cadano in prescrizione. La Procura generale di L’Aquila spera in una revisione della sentenza, soprattutto per quanto riguarda l’assoluzione degli imputati istituzionali dalle accuse di mancata previsione del rischio e prevenzione. Ma le famiglie delle persone scomparse, dopo anni nelle aule, hanno ben poca speranza: «La giustizia è il tasto dolente», ha detto Marco Foresta, figlio di due delle 29 vittime.

Le condanne di primo grado e il rischio di prescrizione

La prescrizione scatterà tra 8 mesi, dopo i quali non sarà legalmente possibile perseguire i reati contestati. L’unica speranza per la Procura generale del capoluogo abruzzese è che i giudici di Cassazione ravvisino di dover approfondire alcuni elementi in merito alla «prevedibilità e configurabilità del disastro», elementi esclusi dal primo giudice. In primo grado, in effetti, erano state inflitte condanne solo al sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta (due anni e otto mesi), ai dirigenti della Provincia Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio (tre anni e quattro mesi), al tecnico Giuseppe Gatto e all’ex gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso (sei mesi).

Il verdetto riformato in secondo grado

Il 14 febbraio 2024, meno di un anno dopo il primo grado, la Corte d’Appello aveva confermato tutte le condanne. E aveva appurato ulteriori responsabilità per l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo (un anno e otto mesi con l’accusa di falso e omissioni di atti d’ufficio), Leonardo Bianco, ex capo di gabinetto della prefettura (un anno e quattro mesi), ed Enrico Colangeli, tecnico comunale di Farindola (due anni e otto mesi). Esclusi dunque i reati più gravi: omicidio plurimo, disastro e lesioni. Anche in questo caso era stata esclusa completamente la responsabilità dei funzionari di Regione. E proprio su questo snodo l’accusa vuole insistere per sperare di riaprire il procedimento.

Il ricorso della procura: «Anche la Regione responsabile, l’hotel non doveva essere costruito»

La procura generale insiste sulla sua posizione: l’hotel era costruito in un luogo evidentemente non idoneo, essendo storicamente interessato da episodi di valanghe. Chiunque abbia concesso il permesso edilizio per il Rigopiano sarebbe dunque colpevole. E la loro posizione è stata parzialmente sposata dalla Corte d’Appello, che ha individuato le responsabilità degli amministratori locali nella concessione del permesso. A cui si sono aggiunte quelle del sindaco, che non ha impedito l’accesso dei turisti e non ha sgomberato il resort in un periodo di allerta, e i dirigenti di provincia addetti alla viabilità e alla gestione dei mezzi di soccorso. Nessuna parola sul fatto che la Regione Abruzzo avrebbe mancato di realizzare la Carta Valanghe. E che, sopratutto, «non avrebbe fatto nulla per comprendere la portata del rischio ed evitare l’evento pericoloso e dannoso, pur in presenza di elementi di allarme», si legge nel ricorso della procura generale. «Questo significa consegnare all’impunità l’intera classe dirigente».

Il reato di disastro: la chiave contro la prescrizione

A giustificare un disastro di tali dimensioni non può essere altro che un «concorso di colpose omissioni da parte di più enti», tra cui la stessa Regione. In particolar modo nella fase di previsione e prevenzione dei rischi connessi al territorio e sulla «gestione dell’emergenza neve di quei giorni». La tesi della procura è netta: l’hotel lì non doveva esserci. Dato che era stato costruito, almeno durante quella emergenza non doveva essere aperto ai turisti o per lo meno doveva essere sgomberato. E questo è un punto fondamentale: se la Cassazione riconoscesse la mancanza del secondo grado di giudizio in questo frangente, si riaprirebbe il processo. Ma il rinvio in appello sarebbe anche accompagnato dall’inclusione della fattispecie di reato di disastro, che si prescrive in 10 anni. In questo modo non si incapperebbe nel rischio di vedere, da qui a pochi mesi, otto anni di procedimenti cadere nel nulla.

La prefettura e la chiamata omessa

Altro capitolo, riguardo la prefettura e l’assoluzione parziale di Francesco Provolo, è la questione del depistaggio. La procura vorrebbe avere un’altra occasione per far luce sul presunto occultamento della telefonata di soccorso che una delle vittime, Gabriele d’Angelo, realizzò la mattina stessa della tragedia. In Appello la questione era stata dismessa con l’esclusione di ogni responsabilità, la procura e i familiari delle vittime non sono dello stesso avviso.

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