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Roberto Mancini è pentito di aver lasciato la Nazionale: «Voglio tornare per vincere i Mondiali»

27 Novembre 2024 - 06:09 Alba Romano
roberto mancini nazionale
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L'ex C.T.: voglio alzare la Coppa del Mondo. Ho ancora un conto in sospeso

Roberto Mancini è pentito di aver lasciato la Nazionale italiana per gli arabi. Lo dice in un’intervista a Il Giornale in cui fa sapere di avere il sogno di tornare ad allenarla per vincere il Mondiale. Nel colloquio con Hoara Borselli Mancini dice che è nato numero 10 «a tirare la palla contro il muretto dai quattro ai sette anni. Poi sono arrivate le partitelle con gli altri in parrocchia». Racconta il primo provino a Casteldebole per il Bologna: «Alla fine del primo tempo mi fecero uscire e non mi fecero più giocare. Pensai che mi avessero scartato e che non ero all’altezza. Era andata male. Ero molto triste».

E invece

Invece era andata diversamente: «Mi avevano tolto per nascondermi. Non volevano che gli osservatori di altre squadre mi vedessero. Il provino era andato benissimo, avevano deciso di prendermi dopo neanche mezz’ora di gioco. Però tornammo a casa rassegnati, senza dire niente a mamma». Dopo un mese «arrivò la telefonata: “Preparate le valigie a Roberto perché deve trasferirsi a Bologna”. Una felicità che non dimenticherò mai». Dopo l’esordio in Bologna-Cagliari a 16 anni e nove mesi arriva il primo gol: «Alla quarta di campionato, Bologna-Como 2-2, ancora non avevo 17 anni. Arriva una palla filtrante: esce il portiere, che mi pare fosse Giuliani, e io mi trovo faccia a faccia con lui. Decido di tentare il numero. Faccio il pallonetto. E vedo la palla che scavalca Giuliani, e poi seguo la traiettoria e la vedo entrare in porta e gonfiare la rete…».

Il primo stipendio

Il primo stipendio non se lo aspettava: «Dopo il primo mese mi chiamano e mi danno 40.000 lire. Ricordo che io chiesi: “Perché mi date 40.000 lire?”. Loro mi risposero che era un rimborso spese. Io dissi: “Ma perché, ci pagate per giocare a pallone?”. Era il 1978. Non riuscivo a capire perché mi pagassero per divertirmi». Mancini ricorda Alfredo Mantovani: «Un presidente meraviglioso. Mise su una squadra incredibile: eravamo uniti, vivevamo tutti per la maglia. Abbiamo vinto uno scudetto, siamo arrivati in finale di Coppa Campioni, 15 anni di vita stupenda. Non posso non citare il direttore sportivo Paolo Borea che dal Bologna mi ha portato a Genova».

Poi il trasferimento a Roma: «Sì, il presidente della Lazio era Cragnotti e io andai con Eriksson, che era allenatore della Samp e passò alla Lazio. Anche lì furono tre anni importanti da giocatore. Sette trofei. Dopo aver vinto lo scudetto e la Coppa Italia ho smesso di giocare e ho iniziato a fare l’assistente di Eriksson in panchina per sei mesi, nel frattempo ho preso il patentino d’allenatore».

L’Italia

La panchina dell’Italia invece l’ha accettata dietro consiglio di Gianluca Vialli: «Dopo un anno arrivò anche lui. Un’avventura straordinaria condivisa insieme. Il miglior coronamento di un’amicizia unica». Parla di Wmbley: «Riportare l’Italia dopo cinquant’anni anni sul tetto d’Europa è stata un’emozione indescrivibile». Mentre la mancata qualificazione ai Mondiali rappresenta per lui «un conto in sospeso con i tifosi». Subito dopo sono arrivate le dimissioni: «Dobbiamo parlarne per forza?». Perché, ripete ancora una volta, «quel saldo rapporto di fiducia che avevo con la Federazione si era reciprocamente incrinato». Ma «se potessi tornare indietro affronterei tutto in modo diverso». Perché «se io e il presidente Gravina ci fossimo parlati, spiegati, chiariti, probabilmente le cose non sarebbero andate così».

La proposta dell’Arabia

Ma dietro c’era anche un motivo economico: «Non nego che, per un allenatore, la proposta di una cifra così alta – anche se inferiore a quella raccontata dai giornali, eh -, ti metta in crisi. Però non è stata determinante. Ha inciso, ma non è stato solo per quello che ho lasciato la panchina della Nazionale». Oggi però non rifarebbe la scelta. E accetterebbe la panchina della A.S. Roma: «Se ci fossero state le condizioni di un bel progetto da portare avanti insieme, avrei risposto di sì». Adesso, per i suoi 60 anni, vorrebbe un regalo: «Alzare la Coppa del mondo. Ho ancora un conto in sospeso». Con chi? «Appena diventai ct della Nazionale dichiarai i miei due obiettivi: vincere un Europeo e un Mondiale».

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