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Deborah Vanini, il tumore e la scelta di partorire sua figlia prima di morire: «Ha scelto lei, non giudicatela»

28 Novembre 2024 - 07:36 Alba Romano
deborah vanini massimo chinaglia
deborah vanini massimo chinaglia
Parla il compagno Massimo Chinaglia: si sentiva appagata dalla vita, voleva lasciarmi qualcosa di lei

Massimo Chinaglia, 40 anni, ha detto addio alla sua compagna Deborah Vanini, 38, che ha deciso di portare a termine una gravidanza senza curare il cancro ai polmoni di cui era affetta. La piccola Megan è nata, lei è morta. «Le decisioni delle persone sono scommesse, il giudizio degli altri conta poco. Quello che mi ha ferito è stata la facilità con cui la gente, sui social, ha criticato la scelta di Deborah senza conoscerne le motivazioni. Senza sapere che persona speciale fosse. Quanto abbia lottato per costruire la nostra famiglia che ora è monca senza di lei», dice Massimo a La Stampa. Nel colloquio con Francesca Del Vecchio spiega perché lei non ha voluto interrompere la gravidanza: «Quando ci siamo conosciuti, 10 anni fa, sapevamo che volevamo una famiglia con dei figli. Ci abbiamo provato per due anni ma non ci riuscivamo. Poi, a febbraio scorso, il test di gravidanza che ci ha confermato che Deborah era incinta».

Il tumore ai polmoni

«Solo che di lì a qualche giorno siamo corsi in ospedale perché aveva dei forti dolori a una gamba. Abbiamo firmato una liberatoria per autorizzare la tac nonostante la gravidanza e così abbiamo scoperto un tumore ai polmoni al quarto stadio, le metastasi ad altri organi che erano irrimediabilmente compromessi», spiega Massimo. La sera successiva Debby «l’ha passata con la testa appoggiata sul tavolo della cucina, in lacrime. Era terrorizzata da quello che l’aspettava. Spaventata per le scelte che doveva compiere: non sapeva cosa ne sarebbe stato della sua vita. Poi, quella frase – “Mi curerò dopo il parto” – che mi ha fatto capire che aveva già scelto. Abbiamo sperato nel miracolo, pregato. Abbiamo confidato nei farmaci che le davano per tenere a bada l’avanzamento della malattia, ma quel cancro era troppo cattivo».

Il matrimonio

I due non hanno fatto in tempo a sposarsi: «Le sono stato accanto perché sapevo che non potevo farle cambiare idea. Mi sono sforzato nei mesi in cui ho dormito con lei in ospedale – anche sul pavimento, se occorreva – di comprendere la sua decisione. So che il suo è stato un gesto di altruismo e di amore verso di me e verso nostra figlia. In fondo, lei sapeva che stava per morire». I medici sono stati subito chiari: il tumore era inoperabile. «Se avesse iniziato le cure subito, appena scoperto, avrebbe potuto vivere qualche anno in più – 4 o 5 al massimo -, invece di consumarsi in sei mesi. Ma sapeva che in quel tempo che le restava, con la chemio e il resto, una gravidanza non sarebbe mai arrivata. Per questo mi diceva sempre: “Nostra figlia avrà tutta la vita davanti, voglio che venga al mondo. Io, potrei vivere solo pochi anni ancora. Che senso avrebbe rinunciare a lei”. E così ha voluto, fino alla fine».

Il parto

Poi il parto: «Non ho mai visto una sala operatoria così piena di persone: saranno state 40. Nonostante l’indecisione se farla partorire in ginecologia o in oncologia, nonostante una tromboembolia e un parto prematuro, è riuscita a godersi la piccola per due mesi, fino a 20 giorni fa. Poi un versamento pleurico e una nuova corsa in ospedale. Da lì le cose sono peggiorate ogni giorno». E quindi: «Avevamo una bambina di un mese e mezzo a casa, la paura che Deborah potesse non farcela era grande. I medici – lo staff del Niguarda è stato fantastico – hanno cercato di prepararmi. Ma si è mai veramente pronti per una cosa del genere? Alla fine, venerdì notte mi è morta tra le braccia».

Le offese

Infine Massimo parla di chi li ha criticati per la scelta: «Io non voglio che qualcuno giudichi il fatto che mia figlia crescerà senza madre. Credono che non ci abbia pensato? Chi ha criticato la decisione di Deborah di non curarsi non sapeva nulla della sua malattia, dei suoi sentimenti. Del fatto che si sentisse appagata dalla vita e che per altruismo volesse lasciare a me qualcosa di lei. Una società così incattivita che l’ha giudicata senza sapere dovrebbe prendere esempio dalla sua storia». Adesso, dice, «cercherò la forza, da qualche parte. Nella famiglia, di certo, che è l’unico sostegno che si ha nei momenti difficili. Crescerò mia figlia facendo tesoro di quello che Debby mi ha insegnato e quando sarà grande le racconterò del grande gesto d’amore che sua madre ha compiuto perché venisse al mondo».

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