La mossa di Giulia Pastorella, candidata a sorpresa alla segreteria di Azione: «Il Terzo polo può esistere e crescere, ma dobbiamo essere riconoscibili» – L’intervista
«Voto e mi libero». Giulia Pastorella esce dall’Aula di Montecitorio, dove il Parlamento è riunito in seduta comune per l’elezione dei giudici costituzionali. Decima fumata nera per uno dei seggi vacanti, altrettanto inconcludente la votazione per i nuovi tre posti alla Consulta per cui oggi, 28 novembre, si è tenuto il primo scrutinio. La deputata di Azione ha voluto comunque consegnare le sue schede, sapendo che il quorum per l’elezione continua a essere irraggiungibile, in un arco parlamentare dove il dialogo tra opposizioni e maggioranza è difficile. Non meno difficile del dialogo nel campo politico del Centro. La frammentazione del Terzo polo ha isolato le anime liberaldemocratiche, rendendo numericamente inoffensivi i partiti come Azione e Italia Viva. L’obiettivo di Pastorella, che si è candidata come segretaria al congresso del partito di Carlo Calenda, è quello di riunire l’area liberaldemocratica.
Come?
«Nel momento in cui c’è un congresso – di Azione, previsto a inizio 2025 – la domanda che mi sono posta è: “Come posso contribuire?”. La mia volontà è quella di portare un’idea di posizionamento chiara, un’idea di organizzazione partitica chiara e di fare altrettanta chiarezza su alcuni temi. Voglio rendere Azione riconoscibile perché, ultimamente, un po’ a causa della malafede di alcuni commentatori e un po’ per delle incertezze interne, risulta essere un partito poco limpido nel posizionamento, poco identificabile».
Parlava di temi su cui è necessario essere più chiari. Quali?
«Siamo molto forti e netti su tutti i temi legati all’industria, al lavoro, al nucleare, all’energia, ma siamo stati ambigui su temi legati ai diritti civili, al fine vita, insomma temi molto divisivi che non possono e non devono diventare il fulcro della nostra proposta politica, se no diventeremmo +Euorpa, ma su cui abbiamo tenuto posizioni troppo ambigue per una forza che si definisce comunque progressista».
Sulla legalizzazione della cannabis vuole che Azione si esponga di più? Nella vostra giovanile mi risulta esserci malumore per la timidezza di Calenda su questo tema.
«Sì, io non sarei per nulla restia. Non deve diventare la nostra battaglia prioritaria perché ci sono altre forze politiche che della legalizzazione fanno la propria bandiera, però non ha neanche senso mantenere un’ambiguità per provare a fare contenti tutti».
La scelta di candidarsi al congresso è stata concordata con Calenda?
«Non è stata concordata. Tuttavia, prima di uscire pubblicamente, l’ho avvisato: mi sembra corretto nei confronti del fondatore di Azione, a cui sono molto riconoscente. Gli ho spiegato che la mia decisione è arrivata in un’ottica costruttiva, di dialogo e che punta al riavvicinamento di tanti iscritti del passato che hanno creduto al Terzo polo e continuano a credere in un partito che sia fulcro di un’ampia area ampia liberaldemocratica».
Come ha reagito?
«Ha reagito vedendo la bontà di un potenziale dibattito interno».
E lui vuole scendere in campo nel congresso con una sua candidatura a segretario? Le ultime indiscrezioni sembrano portare Calenda a un ruolo più da “padre fondatore”, da presidente del partito.
«Non lo so. Non c’è chiarezza su questo al momento. Se Calenda assumesse un ruolo di guida non operativa, e quindi lasciasse candidare altre persone, dimostrerebbe che Azione è maturata. Diventerebbe un partito in cui lui è necessario, ma non sarebbe più sufficiente a tutto. Sarebbe un partito cresciuto, che comunque beneficerebbe dei suoi spunti, delle sue iniziative politiche, che sono assolutamente da preservare».
Azione quindi è un partito scalabile?
«Non utilizzerei il termine scalabile che dà quest’impressione brutta di assalto al castello. Direi… contendibile, plurale: userei altri termini che indicano l’allargamento della leadership attraverso una pluralità di posizioni. L’assalto al leader non è il mio approccio».
Lei ha bruciato tutti sui tempi annunciando la sua candidatura, ma altri due nomi papabili per succedere a Calenda come segretari sembrano quelli di Elena Bonetti e Matteo Richetti. Che ne pensa?
«Ho anticipato perché da regole vigenti, poi vedremo se saranno modificate, le iscrizioni per i nuovi tesserati di Azione chiudono a fine dicembre: le tempistiche del mio annuncio sono dettate da questo. Le candidature di Elena o Matteo genererebbero un dibattito molto interessante perché hanno posizioni e anche storie politiche molto diverse dalla mia. Elena ha creato un’associazione di popolari, che chiaramente ha una sensibilità diversa dalla mia che è liberale, Matteo viene dalla storia del Pd e so che è molto favorevole all’idea di un’alleanza organica con il centrosinistra. Mi piacerebbe un dibattito con loro perché metterebbe la nostra comunità davanti a scelte non di persone, ma di identità politiche e di posizionamento. Questo è molto sano in un partito».
La sua candidatura, anche per la sua età – 38 anni – e per la sua storia professionale, viene vista come elemento di rottura. Le piace come definizione?
«Mi piace nel senso che riflette esattamente la mia storia politica. Non mi sono avvicinata alla politica finché non ho trovato il partito che riflettesse il mio posizionamento. Sappiamo che i liberaldemocratici non sono mai stati rappresentati in Italia. Superati i 30 anni di età, quando ho trovato casa, un partito giusto, mi sono attivata. E sono pronta a lasciare la politica qualora questo partito, quest’area giusta non esistesse più. Oggi la politica è la mia professione attuale, ma non lo è stata prima e non lo sarà dopo se non ci sarà più questa casa in cui credo fermamente. Il mio è un percorso diverso, molto rapido. Sono passata in un attimo dal vivere all’estero a essere al centro delle nostre istituzioni. Con altrettanta rapidità, se non ci saranno le condizioni per occupare lo spazio politico di cui l’Italia, secondo me, ha bisogno, tornerò a fare altri lavori. Per usare il linguaggio di Giorgia Meloni – sorride -, non sono ricattabile. Non ho il timore di non avere un seggio in Parlamento».
È vero che la sua candidatura è stata supportata da Oscar Giannino, Alberto Forchielli, Andrea Marcucci e Luigi Marattin?
«Sì, ma più che supporto personale, loro supportano l’idea che Azione resti nell’area liberaldemocratica e che partecipi proattivamente alla costruzione di un soggetto che possa rappresentare, con percentuali più grandi, l’alternativa al populismo e al sovranismo. In questo senso, lo vedo come un appoggio più al posizionamento che alla persona. Forse anche un appoggio all’approccio molto dialogante che ho avuto con loro nel corso di questi mesi».
Si parla di un certo attivismo di Beppe Sala nel tentativo di federare queste anime centriste. Vede il sindaco di Milano come un possibile federatore o ci sono temi, come il nucleare, che rendono questa ipotesi impossibile?
«Essendo capogruppo nella maggioranza consiliare di Milano, con Beppe Sala parlo regolarmente. Ogni volta che gli ho detto di dichiararsi ufficialmente parte della nostra area, la sua risposta è sempre stata “vediamo”. La mia mano, la mano di Azione è sempre tesa e aperta a includere Beppe nel percorso, deve essere però lui a scegliere se crede davvero in quest’area qua. Lui la vede più ancorata al centrosinistra, ma anche fosse deve semplicemente fare una scelta di campo, a un certo punto, se vuole passare dalla politica locale a quella nazionale. Da parte mia, massima apertura a coinvolgerlo in qualunque processo federativo o unitario in vista del 2027».
Non abbiamo parlato degli alleati di inizio legislatura. Il dialogo, l’apertura di cui parla è rivolta anche a Italia Viva?
«Il dialogo con Italia Viva non ha senso per un semplice motivo: Italia Viva ha fatto una scelta di campo. Gli esponenti di Italia Viva che non volevano andare con il campo largo sono usciti e hanno seguito Marattin per restare agganciati a un posizionamento liberaldemocratico. Quindi la ragione per cui parlo con Luigi, al di là della stima e dell’amicizia personale, è perché lui rappresenta quell’Italia Viva che ancora crede nel Terzo polo. L’altro pezzo mi risulta già dato per perso».
+Europa?
«Con +Europa è un discorso diverso. Anche loro hanno un congresso a febbraio, mi pare. Quindi se anche lì ci dovesse essere una discussione sul posizionamento… per me +Europa dovrebbe avere il coraggio di restare “tra i suoi pari”, con chi è pro concorrenza, pro Europa, con chi è molto aperto sui diritti. Ecco, se nel loro congresso ci fosse questa scelta di campo io sarei più che felice di lavorare con loro. Come avrei voluto già fare, tra l’altro, nel 2022, quando invece hanno scelto la strada di comodo di andare con il centrosinistra. Una scelta che non ha pagato, perché comunque ha vinto la destra e in più i liberaldemocratici avrebbero potuto avere qualche punto percentuale in più».
Per il congresso sta usando lo slogan “saldamente alternativi”, che sembra quasi contrapposto al “testardamente unitari” di Elly Schlein. Che significa?
«Essere saldamente alternativi significa smetterla di definirsi, identificarsi in contrapposizione alla destra o alla sinistra. Anzi, peggio, dire che abbiamo al nostro interno dei pezzettini di destra e dei pezzettini di sinistra. Nei Paesi in cui le forze liberaldemocratiche esistono, se hanno una rappresentanza importante è perché sono riuscite a definirsi in maniera positiva, salda… nel senso di essere chiaramente riconoscibili non per difetto di ciò che non sono o a cui si contrappongono».
Lei immagina un centro che non sia equidistante dai due poli. Sembra, anzi è un ossimoro.
«Equidistante è un aggettivo che detesto e non userò mai. L’idea di equidistanza è quasi quella di giudicare in modo uguale le due parti e stare fuori dai giochi. Io non sono equidistante dalle posizioni sull’economia dei Verdi, del Movimento 5 stelle rispetto a quelle della destra. Le mie posizioni sull’economia sono fortemente contro l’assistenzialismo, lo statalismo che troviamo a sinistra. Idem non sono equidistante dall’approccio retrogrado della destra sui diritti. In questo ambito sono più vicina alla sinistra. L’equidistanza è una dichiarazione di ignavia, di debolezza. No, siamo tutto fuorché neutri. Siamo molto posizionati su tanti temi».
E quindi, stando a queste forze in campo, l’Azione della segretaria Pastorella, nel 2027, si alleerà con il centrosinistra o il centrodestra?
«La legge elettorale non obbliga a posizionarsi e a dire a priori se siamo di qua o di là, come abbiamo visto con il Terzo polo nel 2022. L’Azione di Giulia Pastorella è un soggetto membro di una realtà più ampia – probabilmente federata – che arriva al 2027 essendo il Terzo polo chiaro, identificabile, con delle percentuali saldamente al di sopra della soglia di sbarramento. Si può fare, la legge elettorale ha una grossa parte di proporzionale e con le percentuali a cui ambiamo riusciremmo a essere fondamentali negli equilibri e a influenzare il governo».
All’inizio dell’intervista, tra i temi caratteristici di Azione indicava il mondo del lavoro. Domani – 29 novembre – ci sarà uno sciopero generale. Ha ragione Matteo Salvini a dire che le astensioni dal lavoro sono diventate troppe?
«Sicuramente gli scioperi sono frequenti, talmente frequenti che sono diventati inefficaci. Ma la domanda se la dovrebbe fare Salvini: perché ci sono tutti questi scioperi nel settore di sua competenza? Invece che lamentarsi, dovrebbe sistemare le cose che non funzionano».