Milano, Ramy Elgaml è morto sul colpo: l’esito dell’autopsia. Il padre: «Fiaccolata per lui? Non è il momento»
Milano non è Parigi. E Corvetto, periferia sud-est del capoluogo lombardo, non è una banlieue. Eppure, i disordini dopo la morte di Ramy Elgaml, il diciannovenne deceduto durante un inseguimento con i carabinieri, fotografano una situazione di disagio e frustrazione. Sulla dinamica dell’incidente stradale l’inchiesta della magistratura farà il suo corso, ma gli amici di Ramy sono «arrabbiati». Si chiedono se il motorino guidato da Fares, il ventiduenne ora ricoverato in gravissime condizioni e sul quale viaggiava Ramy, sia stato urtato o meno dalla volante prima di schiantarsi su un muretto. Per questo chiedono «verità e giustizia», come recita lo striscione appeso sul cavalcavia appena fuori la fermata della metro di Corvetto. Il quartiere multiculturale, neanche troppo periferico dove il comune ha in cantiere alcuni progetti di rigenerazione urbana, è tappezzato di graffiti che ricordano il giovane di origini egiziane: «Verità per Ramy», «Non condannate un innocente» o «Per sempre nei nostri cuori», si legge sugli edifici delle vie principali.
La fiaccolata e le polemiche
Per domani è prevista una fiaccolata commemorativa organizzata nella periferia milanese degli amici del diciannovenne. Ma sua padre, Yehia Elgaml, che da subito si «è dissociato delle violenze», non parteciperà. «Non è il momento», ha detto fuori dall’obitorio dove è stata eseguita l’autopsia sul corpo del figlio. «Se vogliono fare una fiaccolata non c’è problema – precisa – ma noi siamo lontani da questa cosa, restiamo a casa». Il timore è che possa scoppiare un’altra rivolta, come quella dei giorni scorsi con incidenti e roghi. «Ho mandato un messaggio per questi ragazzi che fanno casino – ribadisce – noi siamo lontani da questa cosa. Basta violenza: non accendete fuochi nelle strade perché Ramy non vuole questa cosa. Per favore, lasciate stare le brutte figure, non fate niente». Oggi per Elgaml «è una giornata difficilissima: io sono senza il pezzo più grande del mio cuore».
Gli esami sulla morte di Ramy
Per via di ulteriori accertamenti disposti dalla Procura di Milano non è ancora stato dato il nulla osta per i funerali. Stando agli esiti dell’autopsia, Ramy – che «verrà sepolto a Milano, la sua città», conferma ancora il padre – sarebbe morto sul colpo. E non per lesioni al cranio (il 19enne durante la fuga in motorino aveva perso il casco) bensì interne. Da quanto è stato riferito sarebbe stata decisiva la dissezione dell’aorta. Nel frattempo, le indagini degli investigatori continuano: per la vicenda il vicebrigadiere dell’arma è indagato, a titolo di garanzia, per concorso in omicidio stradale. «Io ho fiducia nella giustizia, nei carabinieri, ho fiducia nella polizia italiana, nella polizia locale, io ho fiducia in tutti e rispetto tutti», hanno aggiunto i famigliari del giovane. Anche la fidanzata di Ramy, Neda, come già i genitori del 19enne, ha espresso fiducia nell’operato della magistratura: «Sono convinta ora come ora ci farà sapere, che sono dalla nostra parte. Chiediamo all’autorità solo di essere sinceri. E se qualcuno ha sbagliato che paghi, anche Ramy ha fatto i suoi errori e adesso sta pagando». «Io non troverò mai più nessuno come lui – continua – non la supererò mai…».
Il ruolo della periferia
La morte del 19enne ha fatto inevitabilmente da detonatore di una rabbia collettiva che ha radici ben più profonde del singolo caso. Che in parte ha a che vedere con l’inettitudine delle istituzioni di assicurare a chi abita la periferia diritti essenziali, prospettive future e, non da ultimo, integrazione. E molto spesso sono le associazioni che si prendono carico di colmare i vuoti lasciati dallo Stato. Che ha deciso di intervenire, a detta del governo, con l’aumento del numero dei rappresentanti delle forze dell’ordine tra polizia, carabinieri e guardia di finanza. «L’esecutivo ci ha garantito 600 uomini e donne aggiuntivi rispetto al turnover e quindi non per sostituire chi va in pensione o viene trasferito», ha detto il sindaco Beppe Sala durante il vertice di ieri con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in prefettura a Milano. Eppure, la rivolta non può essere sedata soltanto col pugno di ferro. Continuerà a covare sottotraccia per poi esplodere nuovamente tra «i palazzi grigi» sotto i quali ci sono «bambini arrabbiati».