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Milano, cosa sono le «dark kitchen»: i capannoni fantasma dove si prepara il cibo consegnato dai rider

30 Novembre 2024 - 09:47 Alba Romano
rider milano dark kitchen
rider milano dark kitchen
Ce ne sarebbero almeno sei nel capoluogo lombardo: «Chissà se i clienti ordinerebbero lo stesso sapendo che i loro piatti arrivano da lì»

Capannoni industriali, al cui interno si nascondono cucine che funzionano solo ed esclusivamente per il servizio di delivery. Si chiamano dark kitchen e sono in costante crescita in tante città italiane. A raccontare il fenomeno sul Corriere è Daniel Hagos, rider 29enne di origini eritree, che fa consegne a domicilio per arrotondare, ma è uno studente del Politecnico di Milano e ha collaborato con il Dastu, il Dipartimento di studi urbani. «Il cliente che ha ordinato su una piattaforma il sushi, la pizza o il pollo fritto in un ristorante che conosce suppone venga preparato lì: in realtà noi rider lo andiamo a prendere da tutt’altra parte, in una dark kitchen», spiega Hagos.

Perché esistono le «dark kitchen»

Secondo il Corriere, ce ne sarebbero almeno sei di grandi dark kitchen, ognuna gestita da un marchio diverso della ristorazione. All’interno dei capannoni industriali, che operano dietro cancelli chiusi, si può entrare solo se si lavora per Glovo, Deliveroo o Just Eat, i principali servizi di consegna del cibo a domicilio. Il motivo per cui esistono posti come questi è presto spiegato: spesso gli ordini online superano di gran lunga quelli effettuati nel negozio fisico vero e proprio. Di conseguenza, i ristoranti fanno fatica a stare al passo con tutte le comande e finiscono per indirizzare i rider in un ristorante “secondario”, di cui il cliente non è a conoscenza.

L’impatto sulle città

«Qui la via è buia, con bidoni e sacchi dell’immondizia tutto intorno. Chissà se i clienti, sapendo che a preparare i piatti è una cucina invisibile, sarebbero diffidenti?», chiede Daniel Hagos. Secondo Massimo Bricocoli, docente del Politecnico e direttore del Dastu, la diffusione delle dark kitchen è un fenomeno da non sottovalutare. «Il lavoro di ricerca che stiamo conducendo insieme agli studenti della scuola di Architettura disvela le modalità non sempre visibili con cui le piattaforme hanno iniziato a trasformare il funzionamento e l’organizzazione degli spazi della città. Analizzarle – dice Bricocoli – è fondamentale per pianificare e progettare il futuro di Milanoè fondamentale per pianificare e progettare il futuro di Milano».

Foto di copertina: ANSA/Daniel Dal Zennaro

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