In Evidenza ACF FiorentinaGoverno MeloniStellantis
DIRITTIAbortoItaliaSanità

Aborto, negli ospedali italiani tassi di obiezione superiori all’80% e in alcuni casi del 100%: «Ma i dati sono spesso inaccessibili» – Il report 

01 Dicembre 2024 - 10:03 Alessandra Mancini
Il report al parlamento obbligatorio per legge non è ancora stato pubblicato. L'inchiesta “Mai dati 2” dell'associazione Luca Coscioni ha chiesto i dati a tutte le strutture italiane, ottenendo alcune informazioni

In Italia l’accesso all’aborto non è garantito in modo uniforme, il tasso di obiezione è talmente alto da rendere problematica l’interruzione di gravidanza in molte regioni e le donne che vogliono ricorrere all’ivg non riescono a reperire informazioni. È ciò che emerge dall’indagine “Mai dati 2” sull’applicazione della legge 194, che disciplina da 46 anni il diritto di accesso all’aborto, delle giornaliste Chiara Lalli e Sonia Montegiove per conto dell’Associazione Luca Coscioni. Il problema che ha il nostro Paese con i dati accessibili a tutti non riguarda dunque soltanto i femminicidi o, più in generale, la violenza di genere. Anche ottenere dataset pubblici e aperti sull’aborto è praticamente impossibile. Da dieci mesi si attende inoltre il report sull’applicazione della 194. Che quest’anno non è stato ancora pubblicato, sebbene debba essere presentato al parlamento entro il mese di febbraio. L’ultimo risale a ottobre 2023 e contiene i dati del 2021.

Neppure l’interrogazione parlamentare al ministro Schillaci della pentastellata Gilda Sportiello e dall’attivista e ideatrice del progetto “Ivg, ho abortito e sto benissimo” Federica Di Martino è servita per spingere l’esecutivo di Giorgia Meloni a pubblicare il rapporto. Per questo motivo, riporta il Domani, hanno deciso di presentare – insieme all’avvocata Giulia Crivellini – una formale diffida ad adempiere al ministero. Sono anni che diverse associazioni denunciano le problematiche di tale relazione. Oltre al ritardo cronico con cui viene resa nota, le modalità di raccolta dei dati non sono sufficienti a capire quale sia il reale stato dell’accesso all’aborto. «La relazione pubblica i dati aggregati per media regionale e non per struttura quindi abbastanza inutili per capire se la legge è ben applicata e come il servizio di ivg è garantito», spiegano le esperte. Eppure, anche vietare o rendere difficile l’accesso all’interruzione di gravidanza è una forma di violenza e una violazione dei diritti fondamentali. 

Speciale violenza contro le donne

L’indagine

Secondo la relazione del ministero della Salute (2021), in Italia si è dichiarato obiettore il 63,4% dei ginecologi, il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico. È la stessa legge 194 a consentire a un medico l’obiezione di coscienza, ovvero il rifiuto da parte dell’individuo di compiere atti, previsti dall’ordinamento giuridico, ma contrari alle sue convinzioni ideologiche, politiche, religiose. Eppure, la suddetta normativa all’art. 9 dice anche esplicitamente che «gli enti ospedalieri e le case di cura» sono tenute «in ogni caso ad assicurare» l’interruzione volontaria di gravidanza, vietando quindi l’obiezione di struttura. Ma ciò non sempre accade. La fotografia che scatta il ministero sull’obiezione di coscienza, e più in generale sull’applicazione della legge 194, non è infatti esaustiva. Servono dati suddivisi per singole strutture sanitarie e più aggiornati rispetto a tre anni fa. E d’altra parte va anche considerato che non tutti i ginecologi non obiettori eseguono l’ivg.

«Per sapere com’è applicata la 194 e per poter davvero scegliere di andare in un ospedale o in un altro, dobbiamo avere delle informazioni aggiornate che riguardano le strutture e non le Asl (aziende sanitarie locali, ndr) o le regioni – spiegano Lalli e Montegiove -. A cosa ci serve sapere cosa succede in Umbria o nel Lazio? A niente. E non basta sapere la percentuale degli obiettori di coscienza, perché la valutazione – concludono – deve considerare molte altre variabili». Ovvero l’accessibilità delle informazioni, i tempi di attesa, i numeri di richieste, la mobilità, la garanzia del farmacologico e il regime ambulatoriale. Tuttavia, l’accesso ai dati della pubblica amministrazione è un diritto garantito dal FOIA (freedom of information act). L’accesso civico generalizzato garantisce a chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti posseduti dalle pubbliche amministrazioni, se non c’è il pericolo di compromettere altri interessi pubblici o privati rilevanti, indicati dalla legge.

Alcuni numeri per Regione

Dall’accesso agli atti ottenuto dalle giornaliste tra il 2021 e il 2022 risulta che in Italia 31 strutture sanitarie (24 ospedali e 7 consultori) hanno il 100% di obiettori di coscienza per medici ginecologi, anestesisti, infermieri o OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%. Rispetto a un anno fa la situazione rimane critica. Nel corso dell’indagine, le richieste dell’associazione, quasi mai hanno trovato risposte soddisfacenti. Da Sicilia, Calabria e Abruzzo non è arrivato alcun dato; nella grande maggioranza degli altri casi i dati erano invece parziali, poco accessibili, datati o non a livello di singola struttura. Le poche informazioni ottenute, comunque, confermano le difficoltà di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza in molti contesti, con molte strutture in cui si riscontrano tassi di obiezione superiori all’80% e in alcuni casi del 100%.

  • In Campania i ginecologi obiettori sono il 74% (nel 2022 il 66%). 
  • Nelle Marche l’ospedale di Jesi ha il 100% di ginecologi obiettori (11 su 11). Più dell’80%: Senigallia (82%) e Civitanova Marche (90%);
  • In Basilicata 2 ospedali dei 6 hanno una percentuale di ginecologi obiettori superiore all’80%;
  • In Emilia-Romagna la percentuale più alta di ginecologi obiettori si trova a Parma: (26 su 30, ovvero il 68%);
  • In Molise c’è un unico ospedale in cui si eseguono gli aborti (Cardarelli);
  • In Umbria 50 ginecologi su 85 sono obiettori. L’ospedale di Assisi ha il 100% di ginecologi obiettori. 
  • In Friuli Venezia Giulia l’ospedale di Pordenone supera l’80% di ginecologi obiettori. 
  • In Valle d’Aosta c’è un solo ospedale in cui c’è il servizio di interruzione volontaria di gravidanza e ha una percentuale di obiettori del 25%.
  • In Liguria dei 14 ospedali, 3 non praticano l’aborto. 
  • In Sardegna dei 22 ospedali (15 pubblici, 7 privati accreditati) 8 non sono punti IVG;
  • In Puglia dei 33 ospedali nel 2022, 10 non sono punti IVG, 5 non è chiaro se lo siano o meno. Ma 14 nosocomi hanno il 100% di ginecologi obiettori, 9 hanno una percentuale di obiettori ginecologi superiore all’80%;
  • In Lombardia alcuni dati sono impossibili da leggere perché è stato utilizzato un # per oscurarne il numero dei medici non obiettori (per motivi di privacy «ma probabilmente perché il numero di obiettori è troppo alto», spiegano le giornaliste). La media regionale di ginecologi obiettori è del 45% (348 su 773).
  • Sicilia, Abruzzo e Calabria non hanno inviato i dati. La regione Lazio ha trasmesso i dati del 2022.

L’indagine ha rivelato come il diritto all’aborto non sia garantito ovunque. Se da un lato ci sono regioni più “virtuose”, dall’altro le donne che vivono in alcune zone d’Italia devono fare i conti con carenze e difficoltà nell’accesso ai servizi e gravi mancanze nell’applicazione della legge 194. Che dovrebbe garantire l’accesso all’interruzione di gravidanza senza alcun tipo di discriminazione territoriale, ma che al contrario non è mai stata applicata correttamente in tutte le sue parti.

Articoli di DIRITTI più letti
leggi anche