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Gli alleati indeboliti, i droni kamikaze, il ruolo di Israele: così si sgretola il regime di Assad in Siria. Chi c’è dietro l’avanzata dei ribelli ad Aleppo

01 Dicembre 2024 - 07:16 Massimo Ferraro
guerra siria ribelli aleppo hama bashar al assad
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L'Hts di ex qaedisti, filoturchi, jihadisti: la marcia dei 60mila sulle città in mano alle forze lealiste dietro un'unica sigla sunnita

Otto anni dopo la cacciata sotto i bombardamenti russi pro-regime di Bashar al Assad, le forze di opposizione siriane tornano ad Aleppo. Un esercito vero e proprio di circa 60mila soldati, nato dal raggruppamento di 13 bande divise, sfiduciate e poco collaborative tra loro. Ad Aleppo le forze lealiste se ne sono andate senza combattere, se non qualche scambio di fuoco in periferia, e ora che i ribelli puntano Hama le forze militari di Assad battono in ritirata seppure il presidente siriano ribadisce: «Sconfiggeremo i terroristi». Filoturchi, jihadisti, ex militanti di al Qaeda: chi c’è dietro l’avanzata elle forze ribelli in Siria? Un coacervo di gruppi che negli ultimi cinque anni hanno messo da parte le differenze per ribaltare il regime. Approfittando della debolezza di tutti i suoi alleati. Dall’Iran a Hezbollah alla Russia, i principali artefici della vittoria di Bashar al Assad ormai otto anni fa nella guerra civile scoppiata in Siria nel 2011 sono ora impegnati nei loro conflitti. Mentre l’esercito nazionale è sfibrato e sfiduciato da una guerra che non è mai veramente finita.

I ribelli che hanno riconquistato Aleppo

Il principale artefice della riorganizzazione dei ribelli al regime di Assad è Abu Mohammad al-Jolani, 42 anni, che dal 2017 guida la Hayat Tahrir al Sham (Hts). Jolani cinque anni prima aveva fondato l’ala jihadista siriana affiliata ai talebani di al Qaeda. Salvo poi prenderne le distanze per farsi portavoce di uno jihadismo più pragmatico, politico. Consapevole della necessità di un appoggio in Occidente, come sottolinea Gianlua Di Feo su Repubblica. Jolani è stato in grado di riunire in una unica sigla una dozzine di gruppi separati, accomunati dalla fede sunnita. In pochi anni, grazie all’appoggio esterno anche dei turchi e degli ucraini, ha fatto addestrare circa 60mila miliziani. E ora le sue forze dispongono anche di «team di incursori, mezzi corazzati, artiglieria, droni kamikaze e una rete di comando efficiente», spiega Di Feo. Secondo quanto riferisce l’account ufficiale del governo libanese, Jolani sarebbe stato ucciso in un bombardamento russo a Idlib, capitale della regione al confine dalla Turchia da dove ha coordinato la resistenza al regime siriano fino all’attacco di questi giorni.

Le forze filoturche

Oltre agli ex qaedisti ci sono una miriade di formazioni che compongono la costellazione di ribelli. Tra loro anche filoturchi e jihadisti, così come gli uzbeki e i musulmani cinesi (uighuri) o militanti caucasici, spiega Guido Olimpo sul Corriere. Le fazioni vicine ad Ankara hanno approfittato della situazione per guadagnare posizione rispetto agli altri oppositori ad Assad, i curdi del Syrian Defence Force (Sdf), federazione di minoranze equipaggiata dagli Stati Uniti, e del Ypg che ha sconfitto lo Stato Islamico a Raqqa. Ad Aleppo le forze curde si sono offerte di proteggere le comunità cristiane, legate da sempre al regime, in attesa di capire come i ribelli tratteranno la popolazione. Per ora l’ordine è di rispettare i civili e tutte le fedi religiose. Ma con la vittoria sul campo e la morte – se confermata – di Jolani le cose potrebbero rapidamente cambiare.

Perché attaccare ora

L’attacco si inserisce nella lunga timeline della guerra civile in Siria, mai esauritasi. Un conflitto che negli ultimi anni è diventato a bassa intensità ed è sparito dai radar dell’opinione pubblica internazionale anche per l’esplodere di altri conflitti. Ma in Siria si consuma da 12 anni l’attrito tra potenze per l’egemonia regionale. Qui operano in varie forme Stati Uniti, Russia, Iran, Israele, Libano, solo per citarne alcuni. E proprio per questo i ribelli hanno trovato ora il momento adatto per dare una spallata al regime. Nel 2016 furono decisive le bombe russe e le forze iraniane per cacciare gli oppositori da Aleppo e mettere in cantina i sogni di ribaltare il regime. Ora i bombardamenti della Russia avvengono per proteggere la ritirata e arginare l’avanzata dei ribelli. Dopo cinque anni di addestramento e la tessitura di una rete para-diplomatica, da Idlib è arrivato l’ordine di attaccare approfittando dell’indebolimento di tutti gli alleati di Assad. Le milizie di Hezbollah sono tornate in Libano per fronteggiare Israele. I russi sono impegnati in Ucraina. Gli avamposti iraniani sono stati distrutti dai bombardamenti israeliani, i vertici decimati. Quindi Tel Aviv ha avuto un ruolo fondamentale nell’indebolimento di due alleati su tre del regime siriano, distruggendo anche depositi di armi e fortezze, ma certo non auspica una presa del potere in Siria da parte dei jihadisti.

Foto di copertina: EPA/BILAL AL HAMMOUD

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