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Edoardo Bove, il professor Tondo: «Potassio fondamentale per il cuore, a rischio anche giovanissimi» – L’intervista

02 Dicembre 2024 - 22:31 Gemma Argento
Edoardo Bove ruolo potassio arresto cardiaco
Edoardo Bove ruolo potassio arresto cardiaco
Il direttore della Divisione di Aritmologia del Centro Cardiologico Monzino spiega il ruolo del potassio nella funzionalità del nostro cuore ma chiarisce quanto questo possa non essere in automatico associato all’avvenimento di un’aritmia

Sono ore di preoccupazione per il giocatore della Fiorentina Edoardo Bove, 22 anni, ricoverato all’ospedale Careggi di Firenze dopo un arresto cardiaco avuto in campo. Mentre gli ultimi bollettini medici rassicurano sullo stato di coscienza del giovane, prima in sedazione farmacologica e poi estubato, si cerca di capire cosa abbia provocato il malore di un atleta così giovane e quale potrà essere ora il suo futuro. Ci vorranno giorni prima che gli esiti degli esami possano definire con certezza le cause. Quello che sembra più probabile dai dati clinici riscontrati finora è un’aritmia acuta, assieme al risultato di una forte mancanza di potassio nel sangue. Che correlazione esiste tra questi due fenomeni e quanto l’assunzione errata di potassio, comunemente presente in alimenti e integratori, può essere decisiva per la salute del cuore, anche in giovanissima età? Direttamente dall’ospedale Monzino di Milano, struttura specializzata nella cardiologia, a parlare con Open è un luminare del settore: il professor Claudio Tondo, direttore della Divisione di Aritmologia del Centro Cardiologico Monzino e docente di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare dell’Università degli Studi di Milano, non solo spiega il ruolo del potassio nella funzionalità del nostro cuore ma chiarisce quanto questo possa non essere in automatico associato all’avvenimento di un’aritmia, come quella ipotizzata per Bove.

Professore cosa c’entra il potassio con il cuore e perché è così importante?
«Si tratta di un elemento essenziale per l’attività elettrica del cuore. Così come il sodio. Due elettroliti fondamentali per l’attivazione del battito cardiaco. Il cuore funziona con un meccanismo detto “elettromeccanico”: le cellule hanno bisogno del potassio al loro interno affinché si determini l’attività elettrica e l’attività contrattile. La mancanza o l’eccesso di ciascuno dei due elettroliti è in grado o di determinare aritmie acute (battiti fortemente irregolare) o addirittura di ridurre la frequenza cardiaca fino a far spegnere il battito stesso».

Da dove prendiamo potassio e cosa può causare una riduzione così importante come quella riscontrata su Bove?
«Il potassio viene accumulato nelle cellule grazie ad alimenti e bevande. Penso al kiwi, alle banane, ai pomodori, ma anche alle bevande energetiche o gli integratori. Non ne produciamo autonomamente ma siamo in grado di assorbirlo. Su questo i reni hanno compito importante: riassorbono l’elettrolita, fornendo una riserva essenziale per tutte le cellule e in particolare per le cellule cardiache. Si può quindi verificare una perdita eccessiva di potassio per esempio con le urine, o a causa di una forte sudorazione, o ancora per l’assunzione di farmaci, penso anche agli stessi diuretici. Motivazioni più importanti potrebbero invece essere quelle legate a difetti congeniti che impediscono il processo di assorbimento. Anche nella stagione estiva quando aumenta il nostro tasso di sudorazione perdiamo sali minerali, elettroliti oltre che liquidi, anche in questo caso si parla di una potenziale riduzione della quota di potassio. Quando si superano certi limiti di riduzione si va incontro spesso a problematiche cardiache».

E quali sono questi limiti entro i quali non scendere?
«Il potassio si dosa nel sangue e il prelievo del sangue consente di stabilire un range di “normalità” che per un soggetto sano va dai 3,6 ai 5 mEq/L (millequivalenti per litro), un valore che riusciamo a vedere nei risultati ogni volta che facciamo gli esami ematici. Quando il valore scende al di sotto dei 3.5, addirittura meno di 3 si possono verificare delle aritmie che possono portare anche all’arresto cardiaco. Questo perché le cellule “impazziscono”, aumenta cioè l’attività elettrica non controllata».

Nel caso di Bove si è parlato di “torsione di punta”. Rimanendo nella scala delle ipotesi ci spiega che cos’è e perché è un fenomeno da definirsi comune?
«È uno specifico fenomeno che si verifica a livello cardiaco quando il potassio nel sangue è al di sotto del valore 3 che dicevamo prima ed è legata soprattutto anche ad un altro fattore associato e cioè la bassa frequenza. Con 50 o meno battiti al minuto e potassio al di sotto dei 3 mEq/L si possono creare le condizioni per aritmie ventricolari, e cioè contrazioni rapide, inefficaci ed irregolari dei ventricoli del cuore. Una di queste viene chiamata “torsione di punta”, il nome deriva dal modo in cui appare nell’elettrocardiogramma e servirebbe un disegno per spiegare meglio. Ma importante è sapere le due condizioni che la determinano e che potrebbe capitare un po’ a tutti: se durante il periodo estivo, con un allenamento o una corsa nelle ore più calde della giornata, ci disidratiamo, arrivando a 48 battiti al minuto e con poco potassio, creo sicuramente condizioni favorevoli ad aritmie ventricolari e in particolare a torsioni di punta. Un fenomeno che se si è fortunati si limiterà a pochi battiti irregolari, se si è sfortunati si trasformerà in fibrillazione ventricolare che coinciderà con un vero e proprio arresto cardiaco».

Se siamo potenzialmente tutti a rischio, penso ai bambini che cominciano a giocare a calcio nel professionismo, o a chi fa lunghe corse per passione o agonismo, diventano fondamentali i comportamenti corretti e la giusta integrazione a cui si riferiva prima.

«Soprattutto se siamo dediti ad attività fisica e sportiva con abbondante sudorazione. In questi casi è ovvia la raccomandazione di idratarsi, di assumere bevande, integratori e alimenti ricchi di potassio».

Sono ore di ipotesi e attesa per gli accertamenti. Che idea si è fatto del caso Bove?

«Per correlare con ragionevole certezza che un fenomeno aritmico severo sia dovuto alla riduzione del potassio serve del tempo. Anche chi ha un arresto cardiaco con valori di potassio nella norma, se viene esaminato poco dopo, anche a distanza di un’ora, potrebbe risultare con un dosaggio di elettroliti molto basso. Ma magari è accaduto proprio per lo squilibrio provocato dall’aritmia acuta e dall’arresto cardiaco: in questo caso la mancanza di potassio non sarebbe da considerarsi causa ma conseguenza. Questo è quello che mi sento di dire sul caso di Bove, non può esserci associazione automatica tra l’aritmia acuta e l’ipopotassiemia. La correlazione è certamente nota in linea generale, ma stabilire già un rapporto di causa ed effetto è prematuro. Nei casi di atleti e sportivi sui campi da calcio, è possibile che entrino in gioco altre cause: non dobbiamo dimenticare che può esserci una patologia sottostante non diagnosticata prima, che si sia manifestata in precedenza con delle piccole aritmie fino ad arrivare all’arresto, o a delle patologie coronariche frequenti anche nei soggetti giovani».

Che esami tipici si fanno in questi casi?
«Oltre al classico elettrocardiogramma, sicuramente un ecocardiogramma fondamentale, e una coronografia o una tac per avere quadro dell’albero coronarico. Può essere valutata poi anche una risonanza cardiaca. Sono esami che aiutano a escludere anche la presenza di una patologia sottostante che, trattandosi di un soggetto molto giovane, non ha finora mai raggiunto l’orizzonte clinico. Non sappiamo al momento se ci sono aritmie già documentate in precedenza. Al Monzino seguiamo molti sportivi di diverse discipline, ci troviamo ad assistere molti giovani con aritmie. Il percorso di ricerca deve intanto escludere la possibilità che si sia una forma asintomatica e subdola di cardiopatia. Ricordiamoci che stiamo parlando di sportivi sottoposti a stress fisico ma anche psicologico notevole, e su quest’ultimo punto non sottovalutiamo quanto il cuore sia legato ai nervi cerebrali».

Qual è il futuro di un’atleta che incorre in questo tipo di fenomeni cardiaci?
«Se gli accertamenti eseguiti identificano una patologia è per assurdo ancora più semplice capire il da farsi perché a quel punto scatta la strategia terapeutica e quindi o la possibilità di tenere sotto controllo le aritmie fo di arrivare all’impianto di un defibrillatore sottopelle. Il problema è più complesso se per esempio se non riesce a identificare nulla di certo: esistono arresti cardiaci cosiddetti “sine materia” dove non c’è patologia cardiaca identificabile. In questi casi noi eseguiamo il cosiddetto “studio elettrofisiologico”: con delle sonde andiamo a stimolare il cuore al fine di riprodurre la medesima aritmia. Il medico può cioè provocare intenzionalmente un ritmo cardiaco anomalo durante il test, per scoprire se un determinato farmaco possa interrompere il disturbo o se un intervento chirurgico potrà aiutare a eliminare le connessioni elettriche anomale all’interno del cuore. In merito all’attività agonista, la legislazione sportiva in Italia è molto severa, attenta a riconfermare l’idoneità a soggetti che hanno subito eventi di questo tipo. All’estero la questione viene gestita con più flessibilità, in caso di presenza di un defibrillatore è responsabilità del giocatore decidere di tornare in campo. In Italia è escluso».

Con quale approccio è più d’accordo?
«In alcune circostanze potremmo essere anche un po’ più morbidi e libertari, in altri no, soprattutto quando si identifica una patologia. Se c’è la documentazione di una patologia che nel tempo è destinata a progredire più un’attestata predisposizione genetica, è giusto non rilasciare l’idoneità. Se tutto è negativo e il soggetto è protetto da un defibrillatore, forse sarebbe il caso di dare l’ok. Teniamo presente che nessuno al mondo è attualmente in grado di accertare che il soggetto non avrà più alcun malore ed è quindi naturale che si assuma atteggiamento protettivo. Non poco importante nella decisione da prendere è anche poi l’aspetto psicologico dei giocatori, spesso soggetti con grosse aspettative e prospettive di carriera. Una questione complicata da gestire anche per noi medici».

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