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La vita di Filippo Turetta in carcere in attesa della sentenza tra sessioni con la band, lezioni di inglese e palestra

filippo turetta
filippo turetta
Il 22enne reo confesso del femminicidio di Giulia Cecchettin domani, 3 dicembre, rischia l'ergastolo nella sentenza che verrà pronunciata dai giudici di primo grado della Corte d'Assise di Venezia

Trascorre le sue giornate suonando in una band, seguendo un corso di perfezionamento dell’inglese e scrivendo lettere. Filippo Turetta, reo confesso del femminicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin, domani 3 dicembre ascolterà la sentenza dei giudici di primo grado della Corte d’Assise di Venezia. È accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dall’efferatezza, stalking, sequestro di persona, detenzione d’armi e occultamento di cadavere. Reati per cui rischia l’ergastolo.

Il carcere di Montorio

Il 22enne è detenuto nel carcere di Verona Montorio in una cella condivisa. Come riporta Il Messaggero, nella sua sezione ci sono una scuola, una cappella per la preghiera e una palestra. Consapevole della durata della pena che gli spetterà, Turetta ha deciso di occupare il tempo facendo pratica con uno strumento all’interno di un gruppo musicale formato dai detenuti. Per l’Adnkronos partecipa anche al corso di perfezionamento d’inglese e a quelli di formazione. Nella sua cella scrive poi molte lettere nelle quali ripercorre ciò che provava nei momenti precedenti il femminicidio di Cecchettin: «Faccio fatica a scriverlo perché adesso mi sembra ridicolo e brutto come pensiero, ma mi sembrava ingiusto che io avessi intenzione di suicidarmi e lei in questo non avrebbe vissuto e avuto alcuna conseguenza quando, secondo me, quei giorni – per la maggior parte – erano le sue scelte ad avermi portato a quella situazione. È veramente difficile da ammettere, ma la verità è che avevo pensato che avrei potuto toglierle la vita».

«Le scuse così minuscole rispetto al dolore che ho causato»

 «Le scuse mi sembrano così minuscole rispetto al dolore che ho causato a lei e a tante altre persone e all’ingiustizia gravissima che ho commesso. Per gli stessi motivi non ho mai chiesto perdono e non mi sentirei di farlo neanche in questo momento e non perché non sono pentito di quello che ho fatto o perché possa non interessarmi. Penso che solamente pensarci in questo momento sarebbe ridicolo e fuori luogo», scrive ancora in una delle sue lettere in carcere.

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