La storia di Gennaro Giordano, suicida per mobbing sul lavoro: «Ce l’hanno con me perché sono gay»
Gennaro Giordano, 39enne di Napoli, si è ucciso il 2 dicembre 2023. Aveva una depressione collegata al suo lavoro in un centro commerciale di Torre Annunziata. Prima di uccidersi ha scritto cinque lettere. Dove scriveva di essere vittima di mobbing da parte di tre colleghi. Uno di questi, è l’accusa, lo discriminava anche per la sua omosessualità. Il procuratore di Torre Annunziata Nunzio Fragliasso, l’aggiunto Giovanni Cilenti e il sostituto Andreana Ambrosino hanno aperto un’inchiesta con l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio. Nel frattempo l’analisi del telefonino e dello smartwatch di Gennaro hanno portato alcuni riscontri al racconto.
Le lettere
Nelle lettere, fa sapere oggi il Mattino, Gennaro accusava tre persone che operavano pressioni psicologiche su di lui. Due donne al vertice del centro e responsabili delle risorse umane lo avrebbero costretto a eseguire «compiti fuori mansioni a lui assegnate», per le quali non sarebbe stato neanche retribuito. Al suo rifiuto a continuare, poi, era «divenuto oggetto di molteplici contestazioni lavorative» che avrebbero avuto, a suo dire, uno scopo ritorsivo. Con il cambio del responsabile e l’arrivo di un uomo, la situazione sarebbe addirittura peggiorata perché aveva «comportamenti discriminatori nei confronti di donne e omosessuali». Tra gli episodi anche la minaccia di licenziamento che lo aveva costretto a tornare al lavoro in convalescenza.
L’infortunio
Gennaro racconta anche di un infortunio sul lavoro «al ginocchio per la caduta di una parete» che stava allestendo, pur non avendo tra le sue mansioni il compito di effettuare allestimenti. L’armadietto che la direzione gli aveva assegnato sarebbe stato forzato. Il contenuto è scomparso. Il telefonino aziendale è stato formattato. «Con il nuovo capo, la situazione non è cambiata, anzi, lui perseguita tutto ciò che non rientra nel suo bigottismo, per lui donne e omosessuali sono esseri inferiori, mi sento prigioniero in questa vita», scriveva. «Non voglio che piangete, anzi voglio che ridete e mangiate e bevete ricordando i momenti belli. Adesso starò bene, curatemi le bimbe (i due cagnolini femmina, una bulldog francese e una Princess). Non datevi colpe, sono io, entrato in un loop depressivo da cui non so uscirne, fatela pagare a…», scriveva nella lettera.
Il fratello Antonio
«Voglio che mio fratello abbia giustizia. Bisogna indagare sul suo telefono aziendale, sull’Iphone e sul suo Apple watch. Lì ci sono più prove di quanto si possa immaginare, oltre alle lettere che ha lasciato prima di suicidarsi», dice oggi il fratello Antonio al Mattino. Gennaro si è lanciato nel vuoto da un balcone dell’abitazione in cui viveva con i suoi adorati cani al Rione Traiano. Trovammo le lettere di mio fratello e le portammo alla polizia. Poi ci rivolgemmo a un’associazione per i diritti della comunità omosessuale e ognuno di noi si affidò a un legale, come prevede la legge. Ma oggi, a un anno di distanza, dopo indagini, denunce, testimonianze c’è il rischio che la morte di Gennaro resti impunita», dice. Nelle lettere si dice che subiva mobbing da tre anni.
Il mobbing
«Tant’è vero che mi diceva sempre “Antò, andiamocene e apriamoci una pizzeria. Non ce la faccio più”», ricorda. Anche se lavorava da 15 anni in azienda: «Veniva mobbizzato ormai. Continui cambi di turno: sempre di mattina presto. Era costretto ad alzarsi alle 4 perché dalle 6 alle 9 c’era l’apertura per gli artigiani. Poi cambi di reparto, nonostante lui si occupasse di ordini e rapporti con i fornitori. Quando si infortunò a un ginocchio lo minacciarono di licenziamento, se non fosse rientrato subito. Subiva violenze psicologiche. Una volta ebbe tre richiami perché si era rifiutato di montare mobili, mansione che non rientrava tra i suoi compiti. Abbiamo anche chiesto il suo storico aziendale, ma senza ricevere risposta».