«Mi sono licenziata perché lavorare in un fast food con tre figli è impossibile»
Rascia Abou Zeid ha 36 anni e tre figli. Fino a un mese fa lavorava in un fast food. Ma adesso si è licenziata. A causa dei ritmi di lavoro insostenibili. Zeid racconta la sua storia a Miriam Romano per l’edizione milanese di Repubblica: «I primi anni ero part-time e lavoravo 20 ore a settimana per circa 700 euro al mese. Sono passata poi nell’ultimo anno al full-time con dei turni non continuativi, ma spezzati, per prendere uno stipendio di 1.200 euro al mese». Anche lei abita fuori Milano, a Rozzano, per rientrare nei costi: «Fortunatamente ho un compagno e insieme cerchiamo di far quadrare i conti anche se con tre figli non è facile. Si cerca sempre il risparmio, si compra solo quando ci sono le offerte, si frequentano i discount. Alla fine del mese si arriva a non avere quasi nulla sul conto. Ma la cosa che più mi pesava era conciliare i turni di lavoro con la vita».
I turni
Zeid spiega che i turni non permettono di avere un’organizzazione minima della vita: «Ci si deve organizzare sempre all’ultimo per attività anche banali come accompagnare i figli a scuola. Nessuno tiene in conto le tue esigenze. Lavoravo durante i festivi, le domeniche. La presenza richiesta h24 comportava che il mio turno di lavoro potesse finire anche alle sei del mattino. In questo modo era diventato impossibile conciliare il lavoro con la mia vita privata». Per questo «io e il mio compagno praticamente non ci vedevamo più. A causa dei turni dovevamo organizzarci per tenere i bambini. Quindi lui lavorava quando io ero a casa e viceversa. Soprattutto all’inizio è molto tosto. Ti fai molti scrupoli a provare a chiedere un orario diverso o dei giorni liberi, perché per qualsiasi cosa ti vengono richieste spiegazioni. Insomma, andava un po’ tutto a fortuna. Anche i miei figli hanno dovuto affrontare delle rinunce per il mio lavoro».
I figli
I figli oggi hanno 6, 9 11 anni: «Abbiamo dovuto rinunciare a iscriverli ad alcuni sport o ad alcune attività pomeridiane. Come è ovvio, non sono ancora autonomi, dunque hanno bisogno dei genitori per essere accompagnati. La garanzia di esserci sempre, in determinati orari, io non ce l’avevo. I turni che cambiano settimanalmente scombussolano anche chi ti sta intorno». Era un lavoro che lei giudicava troppo faticoso? «Più che da un punto di vista fisico, era faticoso da un punto di vista mentale. Sei sollecitato a essere sempre gentile. È un lavoro che si basa sul continuo contatto con il pubblico e dopo il Covid le persone sono diventate più aggressive. Mantenere il sorriso con tutti i pensieri legati alla famiglia e alle rinunce, non è stato per nulla semplice».