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Giulia Bongiorno: «Il patriarcato è vivissimo come mentalità di dominio dell’uomo sulla donna»

03 Dicembre 2024 - 09:05 Alba Romano
giulia bongiorno patriarcato
giulia bongiorno patriarcato
L'avvocata e senatrice della Lega risponde a Valditara

«Davanti a queste tragedie si tende ad allontanarle da noi: ci si convince che l’assassino è uno squilibrato, un mostro, che la vittima ‘se l’è voluta’ e che certe cose succedono solo in determinati ambienti. Ma non è così». L’avvocata e senatrice della Lega Giulia Bongiorno, parlando del delitto Cecchettin in un’intervista al Quotidiano Nazionale spiega che il patriarcato non è morto. A dichiararne il decesso nei giorni scorsi era stato il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.

Il male in mezzo a noi

«Capisco che questo possa spaventare. Ci dà la sensazione che il male sia in mezzo a noi. Ma è sbagliato e pericoloso fingere che non sia vero. Con sensibilità e coraggio bisogna trovare le parole giuste per parlarne ai nostri figli», spiega Bongiorno. Che non vuole commentare l’arringa dell’avvocato difensore di Filippo Turetta: «Chiunque ha diritto a una difesa. Non mi stanco di ripetere che quasi sempre l’ultimo appuntamento è una trappola, il tentativo di riprendere un rapporto interrotto. L’ultimo appuntamento è perlopiù mascherato da richiesta di chiarimento: in verità non c’è mai niente da chiarire e chi si sente in colpa lo sa, ma è difficile sottrarsi. Davanti a un rifiuto si scatena la violenza». Sull’ergastolo per l’assassino di Giulia Cecchettin Bongiorno dice di credere «in due princìpi. Uno è il diritto alla difesa – Sottolineo però anche l’importanza della effettività delle sanzioni, e quindi il principio della certezza della pena: spesso vengono irrogate pene anche severe, che poi però finiscono per essere svuotate da una serie di sconti».

Il patriarcato

Sul patriarcato, spiega, «è morto come insieme di leggi che sanciscono una supremazia ma è vivissimo come mentalità del dominio dell’uomo sulla donna. E va combattuto. I giovani spesso si nascondono dietro un gergo particolare, una sorta di goliardia. Ci sono canzoni tremende, pericolosissime, ma chi le condanna passa per censore ‘dell’arte’», conclude.

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