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La segretaria dei presidenti della Repubblica: «Sandro Pertini? Era populista ma sapeva chiedere scusa»

05 Dicembre 2024 - 07:14 Alba Romano
albertina gasparoni sandro pertini
albertina gasparoni sandro pertini
Albertina Gasparoni racconta il suo Quirinale: «Cossiga? Una grande intelligenza deviata»

Albertina Gasparoni è stata la segretaria di tanti presidenti della Repubblica al Quirinale. Tra questi anche Sandro Pertini, ricorda oggi in un’intervista a Repubblica. Il presidente socialista non aveva un carattere facile «ma sapeva chiedere scusa. Un giorno mi chiese di chiamargli Scalfari, ma in realtà intendeva Scalfaro. Composi il numero del direttore di Repubblica e Pertini partì a razzo con tutta una serie di considerazioni. Dopo un po’ si accorse dell’equivoco. Davvero mi aveva detto di chiamargli Scalfari, ma non si capacitava. Andò su tutte le furie, mi aggredì e mi cacciò malamente dal suo ufficio. Tornai nella mia stanza e scoppiai a piangere». E il presidente? «Verso sera mi convocò: “Sono veramente amareggiato”, ripeteva. E io: “Ma non è successo niente, signor presidente”. E lui: “Non è vero che non è successo niente, sono stato un villano e non posso andare a casa senza averle chiesto scusa e aver ottenuto il suo perdono”».

Dal 1972 al 2003

Gasparoni è stata al Quirinale «dal 1972, c’era Giovanni Leone, alla fine del 2003, con Ciampi. Ma prima ancora avevo lavorato con Moro». Che era discreto e silenzioso: «Frequentava lo stesso cinema in cui andavamo io e mio marito, l’Arlecchino, in via Flaminia. Tirava dalla tasca della giacca una lampadina con cui illuminava le carte che aveva con sé». E lavorava anche di notte: «Nel buio della sala sbrigava la corrispondenza». Lei aveva un ruolo: «Battevo a macchina i suoi discorsi. La sua calligrafia era difficilmente decifrabile, anche perché li scriveva in auto. Spesso glieli mandavamo indietro chiedendo precisazioni sui punti del testo che risultavano incomprensibili». Lei spiega: «Ho dovuto lottare non poco contro la mentalità maschilista». Era un mondo tutto maschile: «Ma io mi sono sempre fatta rispettare».

Giovanni Leone

I ricordi proseguono con Giovanni Leone: «Ti metteva a tuo agio. Io entravo sempre con un certo timore nella sua stanza e lui la prendeva alla larga per stemperare la tensione». Venne calunniato: «Una sera stavamo rivedendo un’intervista a Panorama, quando in fretta e furia dovemmo scrivere il discorso agli italiani con cui annunciava le sue dimissioni». Mentre Pertini «era avvolgente. Un giorno arrivò un mazzo di rose rosse dai compagni della Liguria, glieli portai, lui mi abbracciò, convinto che glieli avessi regalati io. “Ma che pensiero!”. Non ebbi il coraggio di dirgli la verità. Uscita dalla stanza ne ordinai un mazzo, a mie spese, e gliele riportai a nome dei compagni liguri». La sua popolarità si spiega con il fatto che «la gente lo sentiva vicino. Dopo il terremoto in Irpinia disse “chiamatemi se avete bisogno”. Fummo travolti dalle telefonate, costretti a mettere una seconda linea. Poi il Mundial spagnolo lo consacrò».

Un presidente populista

Pertini è stato un presidente populista, ma «quel Paese richiedeva quel tipo di messaggi. C’erano il terrorismo, le stragi, gli scandali, i sequestri, a lungo tememmo che le Brigate Rosse avrebbero colpito anche lui…». Con Cossiga invece «non ci fu empatia. Mi ritrovai presto ai margini. Preferii andarmene in piedi che rimanere in ginocchio». Cossiga era «una grande intelligenza deviata. Ricordo che nei viaggi raggiungeva i giornalisti nelle retrovie dell’aereo e cominciava a esternare su tutto e tutti…».

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