Volkswagen, il sindacato tedesco a Open: «Pronti all’escalation. Invece di licenziare, taglino bonus ai manager e dividendi agli azionisti»
Lo stato di agitazione di Volkswagen è solo l’ultimo esempio della profonda crisi che da mesi scuote l’industria automobilistica europea. Il colosso tedesco fa registrare dati di vendita sempre più deludenti, al pari di tutti gli altri produttori del Vecchio Continente. Per far fronte a questa situazione, l’azienda ha annunciato un maxi-piano di risanamento che passa per la chiusura di tre fabbriche e decine di migliaia di licenziamenti. Un vero e proprio tabù per Volkswagen, che in Germania conta 120mila dipendenti e, soprattutto, non annunciava piani di licenziamento da oltre trent’anni. La risposta dei lavoratori, ovviamente, non si è fatta attendere. Lunedì 2 dicembre si è svolto uno «sciopero di avvertimento» dalla portata storica, a cui hanno preso parte 100mila dipendenti di tutte e nove le fabbriche tedesche del gruppo Volkswagen. Il 9 dicembre ci sarà una seconda tornata di manifestazioni, che si prospetta essere altrettanto partecipata.
A guidare le proteste sono soprattutto due soggetti: i Consigli di fabbrica, un pilastro del sistema industriale tedesco pensato per dare voce ai lavoratori nelle decisioni aziendali, e IG Metall, potente (e temuto) sindacato dei metalmeccanici. «Siamo pronti a combattere e intensificare ulteriormente il conflitto, se l’azienda si rifiuta di scendere a compromessi», avverte Steffen Schmidt, portavoce di IG Metall Volkswagen, in questa intervista a Open. I rappresentanti dei lavoratori hanno chiesto ai vertici aziendali di tagliare i bonus per i manager e introdurre una stretta sulla distribuzione dei dividenti agli azionisti. Una misura che, secondo i calcoli del sindacato, farebbe risparmiare a Volkswagen 1,5 miliardi di euro. Ma che l’azienda, almeno per ora, non sembra intenzionata ad accettare.
Come sta andando lo sciopero a Volkswagen? Quanti lavoratori hanno aderito?
«Lo sciopero è stato indetto perché Volkswagen non è ancora disposta a escludere licenziamenti di massa e chiusure di stabilimenti. Lunedì 2 dicembre c’è stato un primo sciopero di avvertimento, durato due ore, e la partecipazione è stata enorme. A Wolfsburg hanno aderito 47mila lavoratori. In totale – tra Wolfsburg, Braunschweig, Salzgitter, Hannover, Emden, Kassel Baunatak, Zwickau, Chemnitz e Dresda – quasi 100mila dipendenti Volkswagen hanno partecipato allo sciopero di avvertimento».
La posizione del sindacato e quella dell’azienda sembrano essere ancora piuttosto lontane. Siete sicuri che si riuscirà a trovare un’intesa?
«Speriamo che si possa trovare una soluzione accettabile entro Natale. Ma per arrivarci il consiglio di amministrazione di Volkswagen deve fare un passo verso di noi e abbandonare le sue posizioni radicali, ovvero chiusure di stabilimenti, licenziamenti di massa e tagli drastici agli stipendi. IG Metall è pronta a scendere a compromessi, come abbiamo dimostrato con la nostra proposta presentata prima delle ultime trattative, che farebbe risparmiare a Volkswagen circa 1,5 miliardi di euro. Ma siamo anche molto pronti a combattere e intensificare ulteriormente il conflitto, se Volkswagen si rifiuta di scendere a compromessi».
Ciò che sta accadendo a Volkswagen è un riflesso della crisi dell’industria automobilistica europea. Dal vostro punto di vista, come siamo arrivati a questa situazione?
«È vero, l’intera industria europea è in crisi. Una ragione è sicuramente l’arrivo di nuovi concorrenti, soprattutto dalla Cina. Un altro motivo, in particolare per i produttori tedeschi, è la tendenza al protezionismo sul mercato mondiale (i dazi europei sulle auto elettriche di Pechino rischiano di penalizzare molto le esportazioni tedesche in Cina – ndr) e la mancanza di una politica industriale efficiente, sia a livello europeo sia in Germania, che possa rispondere ai massicci sussidi distribuiti in Cina e negli Stati Uniti».
Anche le aziende hanno delle responsabilità?
«Volkswagen ha sicuramente un problema a livello di management. Sono stati commessi molti errori negli ultimi anni, a partire dal Diesel Gate (lo scandalo del 2015 sulla falsificazione dei dati sulle emissioni delle automobili vendute – ndr), che rappresenta ancora un peso per le finanze e l’immagine dell’azienda. La tecnologia ibrida è stata quasi ignorata e i modelli di auto elettriche più piccoli ed economici stanno arrivando troppo tardi».
Come se ne esce?
«I concorrenti, statunitensi e soprattutto cinesi, beneficiano di ingenti sussidi e incentivi nei loro mercati nazionali. L’Unione europea deve adeguarsi a questi programmi e rendere gli investimenti nelle tecnologie pulite più attraenti e accessibili».
Alcuni governi, a partire da quello italiano, identificano nel Green Deal europeo la vera causa della crisi dell’automotive. È d’accordo?
«La transizione ai veicoli elettrici è la strada giusta, ma gli obiettivi sulle emissioni di CO2 sono troppo ambiziosi, soprattutto se mancano incentivi all’acquisto e infrastrutture di ricarica efficienti. Questi elementi sono cruciali per conquistare la fiducia dei clienti finali. I miliardi di multe che incombono sulle case automobilistiche potrebbero essere investiti molto meglio per trasformare l’industria».
Le vendite di auto elettriche faticano a decollare, soprattutto dopo che diversi paesi europei hanno cancellato gli incentivi all’acquisto. Anche il governo tedesco di Olaf Scholz ha sbagliato?
«Sì. Tagliare gli incentivi all’acquisto da un giorno all’altro è stato sbagliato e ha reso i clienti ancora più scettici sui veicoli elettrici. Lo stesso vale per chi in Germania, ma non solo qui, continua a mettere in discussione la transizione verso i veicoli elettrici. Ciò di cui le aziende e i clienti hanno più bisogno in questo momento sono la certezza e l’affidabilità».
Cosa potrebbe cambiare per Volkswagen con le elezioni tedesche di inizio 2025?
«Non possiamo prevedere l’esito delle elezioni, perciò è difficile dirlo. Ma speriamo e chiediamo che il nuovo governo lasci andare lo «Schuldenbremse» (le rigide regole fiscali della Germania mirate a raggiungere il pareggio di bilancio – ndr) e faccia massicci investimenti nelle tecnologie del futuro e nelle infrastrutture. Solo così i lavori industriali ben retribuiti rimarranno in Germania».
Le dimissioni di Carlos Tavares hanno causato un nuovo terremoto per l’automotive europeo. Ci sono punti di contatto tra ciò che sta accadendo a Stellantis e le difficoltà di Volkswagen?
«Non siamo coinvolti direttamente nelle vicende di Stellantis, perciò non siamo in grado di fare una valutazione di questo genere. Detto questo, ciò che sta accadendo a Stellantis dimostra che i programmi di drastica riduzione dei costi, come pianifica di fare ora anche Volkswagen, non sono la soluzione a tutti i problemi. Anzi, rischiano di crearne ancora di più».