Le nuove sfide del mondo accademico, Stefano Carta (IED): «Il fallimento è una tappa cruciale dello sviluppo creativo»
«Il fallimento non è mai definitivo, è sempre parte di un processo». È questo il mantra che Stefano Carta, vicedirettore accademico di IED, Istituto Europeo di Design, porta tra i suoi studenti. Un contesto educativo, che abbraccia l’incertezza e l’errore come parte integrante del percorso creativo: non ostacoli da evitare, ma strumenti necessari per progredire. «Il nostro compito è creare un ambiente protetto dove gli studenti possano sbagliare senza timore. Solo così possono davvero imparare a progettare», spiega Carta a Open, ribadendo un concetto che appare semplice ma che, nel mondo accademico – spesso rigido e competitivo – fa la differenza. Soprattutto, se si considera che il timore di non soddisfare aspettative personali e sociali pesa come un macigno su molti studenti.
L’errore e la paura del fallimento degli studenti
L’esperienza personale del docente rafforza questa visione. Carta ha iniziato il suo percorso nel mondo dell’economia, per poi approdare al design, due ambiti apparentemente lontani ma uniti dalla complessità dei processi. Oggi insegna ed è vicedirettore accademico di IED: coordina, insieme al direttore accademico Riccardo Balbo, la supervisione delle tematiche contemporanee e delle metodologie didattiche, garantendo un’offerta formativa aggiornata e qualitativa. E se è vero come ha ricordato il direttore di IED Milano, Danilo Venturi, che «l’Università non deve solo insegnare, ma imparare», per Carta i docenti devono anche trasmettere la capacità di affrontare e valorizzare il processo educativo dell’errore. «Se lo sbaglio viene visto come una tappa imprescindibile di ogni processo creativo, la paura del fallimento che spesso paralizza molti giovani, si trasforma in un’opportunità cruciale», afferma. «Più sbagli, più impari. Ed è così che alla fine migliori il tuo progetto».
La complessità del mondo attuale e come navigarla grazie al design
«Progettare significa imparare a convivere con la complessità», sostiene Carta. Una sfida che definisce il mondo contemporaneo, sempre più intricato per l’accesso senza precedenti a una mole immensa di informazioni. Non a caso, l’Oxford Dictionary ha scelto come parola dell’anno «Brain rot», un’espressione che descrive uno stato di esaurimento mentale causato dall’eccesso di contenuti: ore trascorse sui social, davanti a video, videogiochi o sommerse da notifiche e stimoli che sovraccaricano la mente. «Non è che oggi viviamo in un mondo più complesso, è che abbiamo accesso a molte più informazioni», osserva Stefano Carta. Uno studio del Rapporto Giovani dell’Agenzia Nazionale per la Gioventù, ricorda il docente, sottolinea che un giovane trascorre in media sette ore al giorno immerso in flussi costanti di dati e stimoli digitali. «Questo alimenta la percezione di complessità e rappresenta una sfida enorme, soprattutto per chi insegna».
Le tendenze globali, le nuove sensibilità e il ruolo del design
In un contesto simile, secondo Carta, il design diventa uno strumento cruciale per affrontare il caos informativo. «È una piattaforma trasformativa fondamentale. Permette agli studenti – e ai cittadini – di creare strumenti per navigare autonomamente questa complessità», spiega. Il design, infatti, non può più essere solo un atto estetico, ma deve abbracciare anche tematiche ecologiche, sociali e politiche, così da diventare un nutriente per la complessità, e non un elemento inquinante. «Il trend non può essere quello di sfuggire alla complessità, ma di accoglierla integrandola in un set valoriale che comprenda l’equità, l’inclusività e la responsabilità. La sfida – conclude Carta – è insegnare agli studenti a progettare con una sensibilità sociale e culturale che sappia rispondere alle sfide del nostro tempo».