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Siria, chi vince e chi perde dopo la caduta di Assad: «Russia e Iran indeboliti, la Turchia esulta»

siria caduta assad cosa succede russia putin
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Il crollo del regime come in Afghanistan è l'effetto dell'indebolimento degli alleati. Ora l'equilibrio gioca a favore di Ankara. Mentre Trump lo userà per costringere Mosca e Kiev alla pace

La caduta di Bashar Al-Assad in Siria è il risultato di una serie vittorie e sconfitte geopolitiche in Medio Oriente. E il crollo repentino di un regime come in Afghanistan è l’effetto «dell’indebolimento dell’Iran e della Russia». Che è alle prese con il fronte ucraino. Ma mentre Assad scappa a Mosca con moglie e figli, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan rischia. Se nella regione si aprisse un nuovo fronte di instabilità i rifugiati siriani potrebbero aumentare e i curdi dell’Ypg potrebbero guadagnare terreno. Mentre il fronte più a rischio è il Libano, spiega il ministro Guido Crosetto. E se Vladimir Putin è il vero sconfitto di questa partita, perché non è stato in grado di sostenere Assad contro i ribelli a causa della guerra contro Kiev, le forze israeliane hanno passato stanotte il confine con la Siria dopo 51 anni.

La situazione geopolitica

Il vincitore della crisi è Erdogan. Il rais si prende Damasco saltando sul cavallo dell’ex qaedista Al Jolani. Ma ora può rimpatriare i 4 milioni di profughi siriani che sono arrivati nel suo paese. E trattare con gli americani l’assetto del Nord-Est dove si trovano i ribelli curdi. E, spiega Repubblica, adesso Erdogan può anche rivendicare un ribaltamento immediato dei rapporti di forza con Putin, le cui mosse l’avevano reso “vulnerabile” proprio a partire dal teatro siriano. Ora l’equilibrio gioca a favore di Ankara, che da qualche giorno controlla anche l’Osce: nel prossimo anno sarà il suo presidente, il neoletto diplomatico turco Sinirlioglu, a fare da facilitatore dei colloqui per il cessate il fuoco tra Russia e Ucraina. Anche Donald Trump può esultare. Finora non sembrano esserci ragioni per un intervento in Siria. Ma nel suo post su Truth ieri ha spiegato che Assad è caduto perché il suo protettore, la Russia, non poteva difenderlo.

La partita di Donald Trump

Il messaggio del tycoon è sembrato significativo: Putin rischia di fare la stessa fine di Assad. Gli conviene trattare con Trump. Per concludere la guerra in Ucraina. In questa ottica è invece perfettamente spiegabile che Volodymyr Zelensky esulti. Gli Usa di Trump lo costringeranno a sedersi al tavolo dei negoziati di pace. Ma, aggiunge ancora il quotidiano, il barometro per Kiev segna miglioramento. «Il regime di Bashar crolla per le perdite che l’Ucraina ha inflitto alla Russia. Con meno Wagner; meno aerei russi e meno flotta del Mar Nero, in pochi giorni il regime perde il controllo sul Paese che governa dagli anni ‘70», sostiene il consigliere del presidente Mykhailo Podolyak. Ieri l’ambasciata Usa ha ammonito: «È aumentata la minaccia di missili e droni contro infrastrutture civili critiche».Sui social e nei caffè i toni sono prosaici: «Ma per chi fanno il tifo questi idioti? Meno luoghi da controllare ha Putin in giro per il mondo, meglio si concentrerà su noi», dice Yurich. «Vero — replica Marina — ma sembra un avvertimento a Putin: gli scherzi sono finiti».

L’Iran di Khamenei e la Russia di Putin

Il grande sconfitto è invece l’Iran di Khamenei. Che non ha nemmeno provato a difendere militarmente il suo alleato. Ufficialmente perché Assad non ha chiesto aiuto a Teheran. Ma in realtà perché l’Asse dopo 14 mesi di guerra tra Gaza e il Libano si è ritrovato sguarnito. Hanno pesato gli attacchi dell’aviazione israeliana sull’Iran e la decapitazione di Hezbollah. Quando nel 2015 Putin intervenne in Siria per salvare Assad, mirava innanzitutto a dimostrare che, con lui al potere, la Russia era tornata a essere una grande potenza mondiale. Mentre l’offerta di un asilo umanitario ad Assad e alla sua famiglia mira proprio a ricordare che Mosca non abbandona i suoi partner. Ci sono però due basi militari russe in Siria, lo scalo aereo di Khmeimim e il porto di Tartus. A meno che, come sostengono le agenzie russe, gli insorti non abbiano davvero garantito la loro sicurezza, perdere le due basi costituirebbe un duro colpo per le ambizioni geopolitiche di Putin nel Mediterraneo e in Africa.

Israele

Le forze di terra israeliane hanno attraversato nel fine settimana la zona demilitarizzata al confine tra Israele e Siria e sono entrate nel Paese per la prima volta dalla guerra dello Yom Kippur dell’Ottobre 1973: lo scrive il New York Times, che cita due anonimi funzionari israeliani. Il dispiegamento è avvenuto nel mezzo dell’avanzata dei ribelli che ieri hanno conquistato Damasco e costretto il presidente Assad a fuggire. Le forze israeliane, secondo le fonti, controllano adesso la cima del Monte Hermon, sul lato siriano del confine, e diverse altre località ritenute essenziali per stabilizzare il controllo dell’area. Israele, scrive il Nyt, opera segretamente in Siria da molti anni nell’ambito dell’attuale conflitto con Hezbollah, il gruppo militante libanese sostenuto dall’Iran che ha combattuto in Siria a sostegno del governo di Assad, ora deposto.

L’Italia e il Libano

Il ministro Crosetto spiega a La Stampa oggi che la caduta di Assad «è l’effetto di quanto accaduto non negli ultimi giorni, ma anni: l’indebolimento dell’Iran, dei suoi proxy, in primis Hezbollah, e della Russia, alle prese con il fronte ucraino». Ora, spiega il responsabile della difesa nel governo Meloni, «si apre una transizione difficile e piena di incognite: da un lato, ribelli vittoriosi già spaccati in fazioni, dall’altro la volontà di ripristinare un sistema democratico. Ma anche divisioni nel mondo arabo, estremisti che si odiano tra loro, tensioni sui confini: Libano, Iraq, Israele, Arabia Saudita, che non è confinante ma vicina e Turchia».

Erdogan e i profughi

Ora Erdogan «ha in mano un risultato che persegue da anni, ma non pensava così vicino. E ora aumenta il suo potere di aprire e chiudere i rubinetti verso la Ue». Quella della nuova ondata di profughi «è un’ipotesi, con una Ue ben più debole di allora. La Merkel fu costretta a riempire di soldi la Turchia per chiudere i rubinetti. Oggi la Germania è un Paese che va al voto nell’incertezza politica, ha cambiato in toto le scelte sull’immigrazione illegale ed è in balia alla crisi industriale più devastante dal dopoguerra». Ma adesso c’è un rischio in più: «Il Libano è in condizioni disperate da tempo. Col collasso della Siria e la crisi di Hezbollah, innescata dalla guerra di Israele il quadro peggiora. E noi dobbiamo difendere, senza mollare di un punto, la tregua a Sud o rischiamo scenari apocalittici».

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