Siria, chi sono i ribelli, che vuole Al-Jolani e cosa succede adesso: cinque domande e risposte per orientarsi
L’era di Bashar al-Assad è finita. Sono bastati dieci giorni alle milizie islamiste guidate da Mohammed Abu Mohammed al-Jolani per conquistare il Paese, calando da Aleppo sino a Damasco, e spodestare il regime, caduto senza quasi combattere. Assad ha trovato in rifugio in Russia, e ora i siriani – e con loro il mondo intero – s’interrogano sul futuro del Paese. Per capire ciò che potrebbe succedere è indispensabile comprendere chi siano i protagonisti dell’insurrezione che in pochi giorni ha messo fine a oltre 50 anni di regno degli Assad.
Chi sono i miliziani che hanno spodestato Assad?
La milizia islamista che ha guidato l’insurrezione è quella dell’Hayat Tahrir al-Sham. Significa in arabo “Organizzazione per la Liberazione del Levante” ed è abbreviato in HTS. L’embrione del gruppo è nato nel 2011, anno in cui sono esplose le rivolte in molti Paesi arabi, compresa la Siria, come affiliato di Al-Qaeda, la rete terroristica fondata da Osama Bin Laden che ha condotto gli attacchi dell’11 settembre 2011 contro gli Stati Uniti. All’origine si chiamava però Jabhat al-Nusra (Fronte al-Nusra). Leader della milizia era ed è Abu Mohammed al-Jolani, oggi 42 anni, vero nome Ahmed Husayn al-Sharaa. Fattosi le “ossa” da combattente islamista con Al-Qaeda in Iraq, quando obiettivo delle costanti imboscate erano i soldati americani che avevano deposto Saddam Hussein, dal 2011 al-Jolani è tornato nella sua Siria, ha fondato il “suo” gruppo, anche col sostegno del leader dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi. Nel 2016, con la rivoluzione siriana fallita, il Fronte al-Nusra ha rotto con Al-Qaeda e s’è unito ad altre fazioni per dar vita – formalmente da gennaio 2017 – all’Hayat Tahrir al-Sham. Obiettivo: unificare le forze della rivolta contro Assad sotto una leadership islamica nel nome di una “Jihad del popolo”. Sconfitte ma non distrutte, quelle forze erano rimaste da allora in controllo di una porzione di territorio nell’area di Idlib, del nord-ovest della Siria, nei pressi del confine con la Turchia.
Che ideologia predica l’Hayat Tahrir al-Sham?
La milizia sunnita affonda le sue radici nell’ideologia salafita-jihadista, una corrente di pensiero che professa la necessità del jihad – inclusa la lotta armata contro gli “infedeli” – al fine di instaurare un nuovo Califfato. Leader ideale del gruppo è considerato lo sceicco Abu Jaber. Il movimento è nato d’altronde come affiliato di Al-Qaeda ed è poi stato un partner dell’Isis. «Combattiamo per stabilire la sharia. Non ci sarà posto nel Paese per infedeli come sono i musulmani sciiti, i drusi, i cristiani e gli alawiti di Assad», dichiarava al-Jolani nel 2014, a volto coperto e in abiti da combattente. Lui d’altra parte ha combattuto per anni in Iraq in primis contro i soldati Usa. Per questo il gruppo è bollato come organizzazione terroristica da Ue, Usa e Onu. E sullo stesso al-Jolani l’America aveva posto una taglia da 10 milioni di dollari.
Al-Jolani oggi appare in abiti civili e predica moderazione. Ha cambiato idea?
Di certo ha cambiato strategia. A partire dal 2017, momento della rottura con Al-Qaeda, il capo della milizia ha iniziato a mostrarsi a volto scoperto, spesso in “borghese”. E via via ha ammorbidito i toni della sua propaganda contro gli “infedeli”, stranieri o siriani di altre confessioni. Dal 2021 ha cominciato a dare interviste a ai media americani, nell’evidente intento di “ripulire” l’immagine del suo gruppo e far saltare l’attribuzione di gruppo terroristico. L’acme di quella strategia la tocca nei giorni dell’avanzata militare da Aleppo a Damasco, quando rilascia un’intervista alla Cnn nella quale parla già da leader riunificatore della Siria: dice di volere per il Paese «istituzioni comunitarie, non il governo di un singolo». E sul suo cambio di linea osserva: A 20 anni pensi in un modo, a 40 cambi, è umano». Dopo la presa di Damasco (senza, pare, spargimento di una sola goccia di sangue) il gruppo ha lasciato in carica molti dei ministri di Assad così come gli amministratori locali, almeno per ora. E invia messaggi di apertura sui diritti civili, allontanando lo spettro di misure ispirate alla sharia come l’imposizione del velo per le donne. Trasformazione reale o travestimento tattico per assicurarsi la benevolenza della comunità internazionale nella fase cruciale di consolidamento del nuovo potere? Il tempo lo dirà (presto).
Chi sostiene le milizie di Al-Jolani?
Dopo essersi insediata nell’area di Idlib, l’Hayat Tahrir al-Sham ha certamente avuto sostegno dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, che ha sempre avuto interesse a ritagliarsi una certa influenza nel Paese frontaliero, martoriato da un decennio di guerra civile. «Pregherò a Damasco», disse anni fa Erdogan, che ha investito su Al-Jolani per realizzare i suoi piani. D’altronde l’Hts ha sempre rifiutato di farsi inquadrare come “milizia filo-turca” o legata a qualsiasi altro Paese straniero. Mai come ora è atteso al momento delle decisioni, con tutti gli attori della regione che scrutano al microscopio come accade: la Russia e l’Iran, sconfitti dal collasso del regime di Assad ma determinati a non perdere qualche influenza sul Paese, gli Usa e Israele, che valutano il peso del pericolo jihadista ma sperano neanche troppo implicitamente in una svolta costruttiva per la regione. E la stessa Turchia.
Quindi ora chi governerà la Siria?
La situazione è ancora estremamente incerta e fluida. In un primo momento era trapelata la notizia che gli “insorti” avrebbero mantenuto alla guida del Paese l’ultimo premier di Assad, Mohammed Ghazi Al-Jalali. Oggi Al-Jolani ha invece indicato Muhammad Al-Bashir alla guida di un “governo di salvezza” nazionale. Tutto lascia pensare che quello in via di formazione sarà un governo di transizione in grado di assicurare la stabilità del Paese. Non è affatto detto però che questo durerà a lungo, e che l’Hts e le sue milizie alleate non attendano il momento buono per poi prendere direttamente il potere.