Pace fatta in tribunale tra Shell e Greenpeace: niente risarcimento milionario ma stop alle proteste degli attivisti nel Mare del Nord
Accordo raggiunto tra Greenpeace International, Greenpeace UK e Shell. Lo scorso anno, nove attivisti del gruppo ambientalista occuparono per tredici giorni una piattaforma per l’estrazione di petrolio nel Mare del Nord. In tutta risposta, il colosso petrolifero decise di fare causa a Greenpeace e spostare il confronto in tribunale, chiedendo un maxi-risarcimento che sarebbe potuto costare alla controparte – contando anche le spese legali – fino a 11 milioni di dollari. Alla fine, Shell e Greenpeace sono riuscite a raggiungere un accordo, che obbliga il gruppo ambientalista a sborsare 300mila sterline. Una cifra che però non andrà nelle tasche del colosso petrolifero, bensì della Royal National Lifeboat Institution (Rnli), un’organizzazione che si occupa di soccorso in mare.
Stop alle occupazioni delle piattaforme petrolifere
Secondo Greenpeace, il passo indietro di Shell è arrivato grazie alla forte pressione pubblica con cui l’azienda ha dovuto fare i conti negli ultimi mesi. «Shell pensava che farci causa per milioni di dollari ci avrebbe intimiditi, ma questa azione legale si è trasformata in un boomerang mediatico. La reazione pubblica contro l’atteggiamento prepotente del colosso petrolifero ha costretto Shell a fare marcia indietro e a risolvere la questione fuori dalle aule del tribunale», commenta Areeba Hamid, co-direttrice esecutiva di Greenpeace UK. È altrettanto vero, però, che anche gli attivisti sono stati costretti a fare alcune concessioni. Uno dei punti dell’accordo – si legge in una nota di Shell – prevede infatti l’impegno da parte di Greenpeace a non organizzare altre azioni di protesta «presso o in prossimità di piattaforme petrolifere e di gas nel Mare del Nord per 5-10 anni». In ogni caso, assicurano gli attivisti, «la campagna contro Shell continuerà».
Cosa sono le Slapp
La causa intentata da Shell nei confronti di Greenpeace è stata bollata da alcuni esperti come una Slapp, (Strategic Lawsuit Against Public Participation), un particolare tipo di azione legale avviata da grandi aziende con l’obiettivo di silenziare chi protesta contro il loro operato. Secondo un report di Case, una coalizione europea contro le Slapp, l’Italia è uno dei Paesi Ue che nel 2023 ha fatto registrare il maggior numero di azioni legali temerarie. E a guardare bene, anche nella Penisola è in corso un contenzioso legale tra Greenpeace e un colosso petrolifero. Si tratta di Eni, azienda guidata da Claudio Descalzi, che ha citato a giudizio il ramo italiano del gruppo ambientalista – insieme a Greenpeace Paesi Bassi e ReCommon – con l’accusa di aver orchestrato «una campagna d’odio» contro l’azienda del cane a sei zampe.