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La perdita di benzina, l’ipotesi attentato, i rischi per la salute: cosa sappiamo dell’esplosione al deposito Eni di Calenzano

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Lo scoppio registrato come un terremoto di magnitudo 0.9. L'allarme di quattro anni fa. L'Arpat non ha chiesto interventi nel 2023. Le parole dei sopravvissuti e i rischi per la salute

L’esplosione di Calenzano è stata registrata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. La stazione sismica di Carmignano in provincia di Prato, distante 15 chilometri dal sito dell’Eni, ha ricevuto le onde P di compressione alle ore 10.21.55. Dopo circa 40 secondi un segnale più ampio, ovvero l’onda acustica del boato. Che ha fatto oscillare il sismografo come un terremoto di magnitudo 0.9. Due i morti e tre i dispersi finora. La procura indaga per omicidio colposo. E c’è il precedente dell’allarme di Medicina Democratica che risale al 2020. Nei 170 mila metri quadri del deposito Eni di Calenzano era stato segnalato più di un problema tecnico. Tanto che al momento dello scoppio la ditta Sergen Srl stava lavorando alla messa in sicurezza di una linea di benzina. Dismessa da anni.

Il deposito Eni di Calenzano

«Se avvenisse un incidente rilevante, incendio o esplosione, sarebbe tagliata in due l’Italia, oltre ai danni per persone e lavoratori», sosteneva il report di cui parla oggi Repubblica. Le indagini del procuratore di Prato Luca Tescaroli proveranno a chiarire le responsabilità. Un testimone ha parlato di liquido fuoriuscito da un’autocisterna prima dello scoppio. Si lavora anche per escludere l’ipotesi dell’attentato. Il consulente al lavoro è il tenente colonnello del Ris Adolfo Gregori, esperto di esplosivi noto per aver partecipato all’inchiesta sul disastro del Moby Prince. Il deposito è collegato alla raffineria di Livorno tramite due oleodotti. «A Calenzano sono stoccati da Eni 162mila tonnellate di combustibili fossili, tra benzina, gasolio e petrolio. L’alto rischio d’incidente rilevante è il primo, ma non l’unico dei problemi»spiegava uno dei portavoce di Md, Maurizio Marchi.

Le cause dell’esplosione

Lo stabilimento Eni di Calenzano (ora sotto sequestro) è una delle 25 aziende a rischio incidente rilevante della Toscana. L’Arpat, l’agenzia regionale per la protezione ambientale, ha effettuato controlli nel 2017, nel 2020 e nel 2023. Lo scorso anno l’Arpat non aveva chiesto interventi. Nel 2017 e nel 2020, invece, erano state sollecitate «misure integrative » riguardo alcuni punti del sistema di gestione della sicurezza. Sull’innesco è quindi ancora mistero. Oltre ai due morti e ai tre dispersi, altri ventisei sono rimasti feriti, due dei quali gravemente ustionati.

Il corpo di Vincenzo Martinelli, autotrasportatore residente a Prato e originario di Napoli, è stato il primo identificato mentre per il secondo servirà l’esame del Dna. Le vittime sono tutti camionisti che con le loro autobotti erano nello stabilimento per fare rifornimento. Una perdita di benzina, o forse la fuoriuscita di vapori, ha provocato lo scoppio che ha fatto saltare in aria gli autocarri, incendiando la pensilina dell’intera struttura e facendo crollare parte dell’edificio del centro direzionale adiacente.

I sopravvissuti

Tra i sopravvissuti c’è Marco Giannini. Camionista, 53 anni, è stato investito dall’onda d’urto insieme al camion. «Non erano ancora le 10.30. Ero in attesa di entrare al carico quando c’è stato il boato. Non so dire perché. Ero dietro le pensiline, l’esplosione ha spaccato tutti i vetri del mio mezzo e mi ha ridotto così. Ho sentito le schegge conficcarsi nel viso», dice oggi a Repubblica. E ancora: «Dopo l’esplosione penso di avere avuto per qualche secondo un mancamento, forse sono svenuto. Poi mi sono ripreso e ho cercato di comprendere cosa fosse successo attorno a me. Ho capito che dovevo scappare via da lì il più veloce possibile. Sono sceso dal mezzo e mi sentivo ancora stonato, non riuscivo a correre ma ce l’ho fatta a raggiungere l’uscita. Lì ho trovato altri autisti riusciti a scappare come me da quell’inferno e abbiamo chiamato i soccorsi».

I rischi per la salute

Alessandro Miani, presidente della Società italiana di medicina ambientale, dice al Corriere della Sera: «Una volta che l’incendio è stato spento, i pericoli sono legati alla ricaduta dei fumi a terra ed è fondamentale monitorare l’eventuale presenza di sostanze inquinanti come furani e diossine, che persistono a lungo nell’ambiente. Pensiamo alla Terra dei Fuochi dove, a distanza di decenni, le diossine sono ancora presenti nel latte materno. Naturalmente la situazione di Calenzano è completamente diversa». Per proteggersi «è bene evitare di mangiare frutti o ortaggi raccolti nell’area dell’esplosione, finché non sono terminati i controlli di sicurezza. Inoltre consiglierei di lavare i pavimenti di balconi e terrazzi e, laddove siano stati esposti ai fumi, anche i vestiti».

Le finestre chiuse, le mascherine, i controlli

Miani spiega che «nell’immediato sì, è corretto in presenza di un incendio chiudersi in casa o allontanarsi dal luogo colpito. Le mascherine ci proteggono da alcuni inquinanti, ma lasciano passare le particelle più piccole. Tutte queste precauzioni possono durare al massimo alcuni giorni: nel momento in cui Arpat, Protezione civile e autorità sanitarie dichiarano finita l’emergenza, si torna alla vita di prima». Il pericolo di intossicazione «c’è, ma in questo caso ha riguardato soltanto i lavoratori presenti nell’impianto, che sono già ricoverati in ospedale. Durante un’emergenza spesso si creano timori immotivati, con il rischio di intasare i Pronto soccorso per problemi inesistenti. Se non si avvertono sintomi come difficoltà respiratoria, mal di testa e irritazione delle mucose si può stare tranquilli».

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