La lettera sulle anomalie, i liquidi fuoriusciti prima dello scoppio: cos’è successo nell’esplosione di Calenzano
Una lettera. Che denunciava «continue anomalie sulla base di scarico» nel deposito Eni di Calenzano. L’ha scritta Vincenzo Martinelli, una delle cinque vittime dell’esplosione, alla sua azienda Bt Trasporti. Martinelli rispondeva a una contestazione disciplinare (si era rifiutato di completare un viaggio). Spiegando che quel giorno «il carico del braccio di benzina non erogava il prodotto». E che per questo gli addetti dopo vari tentativi «decidevano di farmi sospendere il carico facendomi staccare tutti i dispositivi». Proprio un malfunzionamento dell’impianto sarebbe la causa della strage. Ma dovuto a un errore. O meglio a una «chiara inosservanza delle procedure previste». Perché mentre si distribuiva la benzina «alcuni operai stavano intervenendo su alcuni tubi».
La ricostruzione della strage
La prima ricostruzione della strage di Calenzano la fa il decreto di perquisizione della procura di Prato, firmato dal procuratore Luca Tescaroli e dal sostituto Massimo Petrocchi. I carabinieri lo avevano presentato quando si sono presentati allo stabilimento Eni e in Basilicata alla sede della ditta di manutenzione Sergen, che stava svolgendo i lavori. La Repubblica racconta che alle 10 e 20 del mattino di lunedì 9 dicembre i camion che caricavano gasolio erano quattro. Sulla terza corsia c’era Carmelo Corso, sulla quarta Davide Baronti, sulla quinta proprio Martinelli. Sulla sesta un altro collega oggi ferito. Che però qualche secondo prima dell’esplosione ha lanciato un allarme. «Ero in fila ad aspettare il mio turno e ho visto roba fuoriuscire da alcuni tubi», ha raccontato un altro camionista. «Pensavo fosse acqua, poi ho sentito la puzza. Ho visto degli operai che lavoravano sui tubi».
La fuoriuscita
Gli operai della Sergen stavano in effetti lavorando tra la pensilina 5 e la 6. I pm scrivono: «La ditta stava eseguendo dei lavori di manutenzione nei pressi dell’area destinata al carico del carburante: in particolare avrebbero dovuto rimuovere alcune valvole e tronchetti per mettere in sicurezza una linea benzina dismessa da anni». A quel punto sarebbe avvenuta «una fuoriuscita di carburante nella parte anteriore della pensilina di carico». Dovuta alla «chiara inosservanza delle regole previste». Una «condotta scellerata» che avrebbe così provocato il disastro. Tra i contenuti acquisiti ci sono i contratti per la manutenzione e le chat. L’ipotesi di reato a oggi è omicidio colposo, disastro e «rimozione dolosa o colposa di cautele contro gli infortuni sul lavoro».
La benzina brucia
Alcuni esperti dicono all’Ansa che la benzina brucia mentre a causare l’esplosione sono i vapori. E in questo caso, a provocare la deflagrazione, potrebbe essere bastato anche un semplice sfregamento. L’esplosione, in base a quanto emerso, si sarebbe verificata mentre era in corso il rifornimento di un’autobotte. Ma a questa circostanza, viene fatto notare in ambienti investigativi, al momento non necessariamente si deve o può essere legata la causa della deflagrazione. Eni intanto ha intanto diffuso una nota per spiegare che sta collaborando con l’autorità giudiziaria «per individuare quanto prima, in modo rigoroso tramite le opportune e approfondite verifiche tecniche, le cause reali dell’esplosione». Delle quali però, sottolinea l’azienda «è assolutamente prematuro ipotizzare la natura».
«L’impianto è sicuro»
«Non ci capacitiamo di quanto è successo, per noi autisti l’impianto è sicuro», ha raccontato Giuseppe, uno degli autisti di cisterne che da 35 anni lavora nell’impianto Eni di Calenzano. «Conosciamo benissimo tutte le procedure e i funzionamenti della sicurezza all’interno dell’impianto e non riusciamo a spiegarci cosa sia accaduto. Anche quando c’è stato una rottura o uno spandimento non si è mai arrivati a creare un pericolo veramente. All’interno siamo controllati continuamente e per noi l’insicurezza nasce invece appena usciamo dal deposito perché non sai cosa ti può succedere mentre guidi».