La chiesetta di Padre Pio, lo stadio del Comune, il centro commerciale della Regione. Oggi tutti gridano al rischio del deposito Eni di Calenzano, ma anche loro sono colpevoli
Sostiene il sindaco di Calenzano, Giuseppe Carovani, tornato alla guida del comune nel 2024 dopo esserne già stato sindaco due volte fra il 1999 e il 2009, che il deposito Eni in cui è accaduto il drammatico incidente lunedì 9 dicembre con il suo carico di vittime e feriti, è a rischio per il territorio e quindi andrebbe spostato da dove è nonostante il piano di emergenza esistente varato 20 anni fa e aggiornato negli anni con la prefettura di Firenze. Più o meno la stessa ipotesi è stata avanzata dal governatore della Regione Toscana, Eugenio Giani, che nello stesso giorno dell’incidente ha dichiarato: «Il buon senso, come è evidente a tutti, ci dice che quel luogo è inappropriato per le funzioni che lì vengono svolte. Mi faccio carico anche delle preoccupazioni del territorio. Quando fu realizzato alla fine degli anni 50, lì era tutta aperta campagna e la localizzazione era appropriata, ma oggi no. Tutto attorno ci sono capannoni, aziende, residenze, la zona è densamente antropizzata e popolata. È evidente che per funzioni simili servano oggi luoghi più appropriati». Opinioni sull’onda dell’impatto emotivo dell’incidente, di cui ancora non si è compreso il meccanismo, e sul rischio che si sarebbe potuto correre su un territorio fortemente urbanizzato intorno al deposito Eni, anche se di fatto nulla è accaduto.
Il deposito Eni nacque nel deserto, poi urbanizzato proprio da chi oggi se ne lamenta
Quando però il deposito Eni fu costruito nel lontano 1956, la piana dove sorse era di fatto aperta campagna, lontano da qualsiasi posto urbanizzato. Nulla era costruito nei pressi, non esistevano stabilimenti né capannoni industriali, non esistevano infrastrutture se non quella- la più vicina- dell’aeroporto turistico di Peretola dove però atterravano pochi aerei privato e qualche Dc3 per i primi collegamenti nazionali con Firenze. Non c’erano abitazioni se non ad ampia distanza di sicurezza, non c’erano impianti sportivi né centri commerciali. L’urbanizzazione è iniziata assai dopo, e la maggiore parte ha data successiva alla direttiva Seveso adottata nel 1988, poi rafforzata due volte, nel 1999 e nel 2005. Dunque, c’è chi ha rilasciato permessi per costruire accanto a un impianto già classificato a serio rischio. E la maggiore parte di quei permessi è stata rilasciata proprio dal comune di Calenzano, da quelli di Sesto Fiorentino e Campo Bisenzio lì confinanti e dalla Regione Toscana. Quindi proprio dalle stesse istituzioni che oggi gridano allo scandalo per il rischio che si sarebbe potuto correre con l’incidente di lunedì: il rischio porta soprattutto la loro firma.
La prima costruzione è un romanzo: una chiesetta fronte Eni voluta da Padre Pio
A dire il vero la prima costruzione avvenuta nei pressi del deposito Eni è avvenuta certo con i permessi delle autorità locali, ma porta un’altra e una storia che è già diventata leggenda: quella di padre Pio. Fu lui a incaricare Giovanni Bardazzi, un contadino di Prato residente a Calenzano, dirigente del partito comunista, di fare vedere a tutti che si era convertito ottenendo la costruzione della attuale chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie. Questa storia è un vero romanzo come gran parte della vita di San Pio di Pietralcina e andrebbe letta tutta per come avvenne. In poche righe: il contadino Giovanni si sposò giovanissimo, ma rimase vedovo tre anni dopo poco prima della Seconda guerra mondiale. Non sapendo come allevare la prole tutto da solo, andò dalla sua prima fidanzata dicendole: «Io sono lo stesso di prima, solo con un figlio in più. Vuoi riprendermi con lui e diventare mia moglie?». Lei, Ottavina, disse sì. Ma Giovanni era un senza Dio, comunista fin dentro le ossa, con l’idea di trasformare le chiese in fienili e di «spaccare in tre» ogni prete. Ottavina invece era molto religiosa e determinata. E tanto fece e tanto insistette da riuscire a portare Giovanni a San Giovanni Rotondo, dove c’era un frate speciale che ti leggeva dentro e sapeva ancora prima che tu gli dicessi. Ci sono voluti anni e umiliazioni terribili, ma tutte le volte che Padre Pio lo respingeva e lo mandava a quel paese, come attratto da un misterioso magnete Giovanni tornava dal frate a farsi umiliare. Nella speranza di un suo perdono iniziò a frequentare la messa, e addirittura otto messe in otto giorni, ma alle cinque del mattino perché nessuno a Calenzano potesse vedere lui, comunista tutto d’un pezzo, a confessarsi e prendere la santa ostia. Padre Pio lo umiliò lo stesso: che valeva una conversione nascosta a tutti con vergogna? Il povero Giovanni fu costretto, per avere l’affetto del frate, a recitare il rosario in pieno giorno andando avanti e indietro per la via principale di Calenzano. E San Pio lo perdonò. Con quel compito in più: caricarsi sulle spalle la costruzione di una nuova chiesa a Calenzano, andando a mendicare come poteva i fondi. Non ne trovò molti e proprio davanti al deposito Eni sorse una cappelletta per venti posti. Padre Pio si infuriò: una chiesa, visibile a tutti e aperta anche agli operai dell’Eni. Giovanni trovò altri soldi e la cappella fu ampliata diventando l’attuale chiesa di Santa Maria delle Grazie, in via di Capalle.
La zona depressa e i vari governi che invitavano a investire lì. L’ultimo fu Giuliano Amato
Dopo la chiesa sarebbero sorti proprio a fianco dell’Eni capannoni industriali e piccoli stabilimenti di fornitori del colosso dell’energia. In questo caso certo con i permessi rilasciati sul territorio, ma grazie a una serie di interventi del governo centrale, che avevano consentito vantaggi economici e defiscalizzazioni a chi avesse investito proprio lì, spalla a spalla con il rischio in una zona dichiarata depressa e che in questo modo in anni successivi avrebbe cominciato ad attingere anche ai fondi europei. Sono stati molti governi a favorire quegli insediamenti che oggi sembrano a tutti avere amplificato il rischio. L’ultimo esecutivo ad agevolare gli insediamenti in quella piana di Calenzano fu quello guidato da Giuliano Amato nel 2000, con un provvedimento fiscale sui centri industriali di ricerca.
Negli anni ‘90 a rischi conosciuti fu la Regione Toscana a volere il centro commerciale i Gigli
Con le direttive Seveso che avevano ben definito il rischio dell’impianto Eni di Calenzano, nel 1991 l’allora comune di Firenze, quello di Campo Bisenzio, quello di Sesto Fiorentino, la provincia di Firenze e la Regione Toscana firmarono un accordo di programma originariamente per trasferire lì il vecchio stabilimento Fiat di Novoli, ma poi individuarono la piana dell’Eni come zona destinata a grandi funzioni industriali, commerciali e direzionali. Fu la Regione poi a sposare un’idea di uno dei più grandi studi di architetti fiorentini per fare nascere lì svilupparsi quello che oggi è il centro commerciale I Gigli. Talmente grande da avere costretto l’Enel a realizzare una centrale elettrica ad hoc per fornire alle varie attività energia a media tensione.
Due stadi davanti all’Eni fatti costruire dal comune di Calenzano. L’ultimo nel 2022
Ma qualcosa è stato costruito in tempi recentissimi proprio a ridosso del deposito Eni di Calenzano. Negli anni Ottanta lì è stato inaugurato lo stadio comunale Paolo Magnolfi, dedicato a un politico che per 30 anni era stato amministratore del comune e poi dirigente della locale squadra di calcio. Ma in tempi recentissimi il comune ha investito 440 mila euro per costruirvi a fianco un secondo campo da calcio in erba sintetica, il Silvano Facchini, seguendo i dettami della Lega nazionale dilettanti. L’inaugurazione è avvenuta l’11 novembre 2022, in pompa magna da parte dei vertici della giunta comunale di Calenzano che ha preceduto quella di Carovani. E sempre il comune a fianco ha costruito centro sportivo e piscina municipale che si affacciavano proprio sull’ingresso del deposito Eni. L’ultimo di una serie incredibile di errori di valutazione da parte delle stesse istituzioni locali che oggi lamentano con il senno di poi la pericolosità di quel deposito.