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La storia di Yasmine venuta dal mare: «L’abbiamo trovata congelata»

yasmine venuta dal mare naufragio migranti
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Ha visto morire tutti i suoi compagni di viaggio e il fratello. L'hanno avvistata a dieci miglia da Lampedusa. Gridava «Help» alle 3 del mattino. E il suo salvataggio è considerato un miracolo

Urlava «Help» alle 3 del mattino di mercoledì 11 dicembre. Ha visto morire tutti i suoi compagni di viaggio. Ed è nata per la seconda volta a 11 anni. Yasmine, venuta dal mare, è stata salvata dal Trotamar III, il veliero della Ong tedesca Compasscollective. L’hanno avvistata in acqua a dieci miglia da Lampedusa. Chiedeva aiuto attaccata a due camere d’aria. I marinai l’hanno raggiunta e tirata su mentre era in ipotermia e sotto choc. Ma viva. La bimba è finita sotto un telo termico ed è stata riscaldata da borse d’acqua calda. La sua storia di bambina venuta dal mare è come tante altre. È arrivata dal Mediterraneo, come Alan Kurdi, Joseph, le nigeriane Maria e Osito. Ma lei ce l’ha fatta. Si è salvata. Secondo i volontari ha detto di chiamarsi Maria, o forse Mariam.

Sierra Leone

«Ho 11 anni, sono della Sierra Leone», ha detto ai volontari della Ong. «Siamo partiti da Sfax, in Tunisia, tre giorni fa. Su quella barca di ferro eravamo in 45. C’era anche mio fratello. A un certo punto il mare è diventato troppo più grande di noi. La barca si è riempita d’acqua ed è andata a fondo». Lei ha preso le camere d’aria insieme ad altre persone per salvarsi: «Per un po’ siamo rimasti in tre. Tutti attaccati a quel salvagente. Eravamo vicini nel mare. Ci tenevamo. Pregavamo. Ma poi non li ho più visti. Sono rimasta sola». Il padre, dice, è ancora a Sfax. Con i soldi rimasti aveva provato a garantire un futuro migliore ai suoi figli. «Sono viva, sono in Italia», gli ha detto Yasmine dal poliambulatorio di Lampedusa. Da dove dicono che è rimasta in acqua dodici ore, non di più: perché probabilmente altrimenti non sarebbe sopravvissuta. Ma in mare è facile confondersi.

Qualche dubbio

Sul racconto della bambina, riportato da Corriere, Repubblica e Stampa, c’è qualche dubbio. Sopravvivere per tre giorni in acqua in mezzo a una burrasca pare impossibile. I segni dell’ipotermia sarebbero incompatibili con una presenza in acqua superiore alle 12 ore. Il procuratore di Agrigento Giovanni Di Leo indaga per naufragio e omicidio colposo plurimo e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La Guardia di Finanza ha sorvolato la zona senza trovare traccia degli altri 44 naufraghi. Nemmeno un corpo. «In quelle condizioni si perde la cognizione del tempo», spiegano gli investigatori. Le sue condizioni di salute sono buone. Secondo il suo racconto il padre ha fatto partire i due figli perché sulla barca erano rimasti solo due posti. Anche se sapeva di rischiare di non rivederli più. «Dopo la telefonata ci ha spiegato che altri due fratelli sono in Tunisia in attesa di partire», hanno detto i volontari.

«L’abbiamo trovata congelata»

«Incredibile, pazzesco, un miracolo», dice oggi a Repubblica Ina Friene, 33 anni, secondo ufficiale del Trotamar III. «Se me l’avessero raccontato, avrei stentato a crederci. Stavamo navigando verso l’ultima posizione nota di un altro barchino in difficoltà, quando i due del team che erano di guardia hanno dato l’allarme. Dal mare avevano sentito delle urla. È quasi impossibile». Friene spiega che l’imbarcazione non andava a tutta macchina, ma il motore fa comunque rumore: Appena lo abbiamo spento, tutti abbiamo sentito gridare disperatamente. È stato automatico, subito abbiamo messo in acqua il gommone. Erano più o meno le 3.20, notte fonda». A quel punto hanno acceso un faro, perché era buio pesto: «Non era lontana, ci siamo fatti guidare dalle sue urla. Appena l’abbiamo vista, le abbiamo lanciato delle cime e l’abbiamo trainata fino a noi, poi portata a bordo».

A terra, in Europa

«Eravamo stupiti, ma avevamo solo fretta di portarla sul veliero per darle assistenza medica. In mare è facile morire, bastano pochi minuti», ricorda nel colloquio con Alessia Candito. «Era troppo stanca, confusa, provata per parlare. Era gelata, tremava. Le abbiamo detto che siamo una nave di soccorso e che finalmente si trovava al sicuro, che l’avremmo portata a terra, in Europa. E poi che il nostro medico avrebbe trovato il modo di farla stare meglio, di toglierle tutto quel freddo che sentiva. La sua temperatura corporea non superava i 35 gradi». Dice che una cosa del genere non le è capitata «mai. E che io sappia neanche ad altri della flotta civile. Siamo felici per aver salvato una vita, ma allo stesso tempo tristi e arrabbiati per tutte quelle che sono state perse senza che ci fosse nessuno a soccorrerli».

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