Bankitalia rifà i conti sulla crescita italiana: taglio della stima per il 2024, sarà dello 0,5%
Male, le previsioni sulla crescita economica italiana subiscono un altro colpo dopo quelli di Ocse e Istat. La Banca d’Italia ha tagliato la stima del Pil fissandola allo 0,5% per il 2024, 0,1 punti in meno della stima di ottobre. Nel Piano strutturale di bilancio aleggia ancora la cifra dell’1%. Via Nazionale spiega che nel confronto con questo numero occorre considerare le stime non corrette per l’effetto del calendario, che si collocano allo 0,7%. Stessa percentuale citata da Giancarlo Giorgetti ieri – 12 dicembre – ad Atreju: «Avevamo fatto tutte previsioni assolutamente prudenziali, questa revisione del Pil che stimiamo possa arrivare allo 0,7% non ci cambia i numeri di finanza pubblica, anzi siamo convinti che otterremo risultati ancora migliori».
Ad ogni modo, Bankitalia ha previsto un miglioramento «a tassi intorno all’1% in media, sospinto dalla ripresa dei consumi e delle esportazioni» per il prossimo triennio. Uno scenario positivo, che però fa il paio con una frenata degli investimenti, dovuta al «ridimensionamento degli incentivi all’edilizia residenziale». Ecco il dettaglio delle previsioni: per il 2025, la crescita viene abbassata dall’1% di ottobre allo 0,8%, poi dall’1,2% si passa all’1,1% per il 2026 e quindi si arriva al 2027 ipotizzando uno 0,9%. Bankitalia prevede dunque una leggera riduzione dell’inflazione per i prossimi tre anni e, appunto, una ripresa dell’export. Segnali positivi anche dal mercato del lavoro.
Tuttavia, conclude l’analisi di via Nazionale, «l’incertezza che circonda queste proiezioni è elevata e deriva principalmente dallo scenario internazionale. Un orientamento maggiormente protezionistico delle politiche commerciali e le perduranti tensioni connesse con i conflitti in corso potrebbero incidere negativamente sulle vendite all’estero e, tramite un peggioramento della fiducia di famiglie e imprese, sulla domanda interna. Una dinamica dei prezzi più elevata potrebbe derivare da nuovi rincari delle materie prime e degli altri beni importati. Per contro, l’eventualità di un deterioramento più marcato e duraturo della domanda potrebbe pesare sull’occupazione e comprimere l’andamento di salari, margini di profitto e prezzi di vendita delle imprese».